Si sa. Il problema dei giorni nostri è il tempo. O meglio. La mancanza di tempo.
Siamo tutti in faccende affacendati, anche quando non abbiamo nulla da fare.
Fare o non fare, dobbiamo fare i conti con i ritmi frenetici che rischiano di sfociare in stress e gesti ossessivo-compulsivi come il controllo dello smartphone. Basti pensare che in media controlliamo il nostro cellulare dalle 150 alle 200 volte al giorno e trascorriamo (a dispetto di quanto sosteniamo, cioè di essere sempre di corsa e non avere il tempo per fare tutto quello che vorremmo) mediamente 2 ore e mezza al giorno su internet tra whatsapp e social network. Eppure, il “tempo è denaro” e, per i più facoltosi, il detto è ancora più valido perchè il tempo lo si può comprare.
E torniamo sull’Everest. Che cosa c’entra con quanto stiamo dicendo? C’entra, c’entra eccome.
Perchè da quest’anno esiste la spedizione “Flash”, offerta da Furtenbachs Adventures, una agenzia austriaca che equipaggia i suoi clienti di alcune tende ipossiche da alta quota da simulazione, che devono appendere ai loro letti a casa per abituarsi in sei settimane a dormirvi prima della partenza.
Teoricamente queste tende, nelle quali i livelli di ossigeno sono ridotti, stimolano la produzione di globuli rossi nel sangue, riducendo il numero di giorni di riposo e le scalate di acclimatamento (dette anche rotazioni di acclimatamento), indispensabili ad alta quota.
Se complessivamente nel 1953 alla spedizione occorsero quasi cinque mesi, se oggi la maggior parte delle spedizioni sul monte Everest richiedono circa 65 giorni, la spedizione andata e ritorno di Flash di Furtenbach è programmata per durare 28 giorni (e, grazie alle circostanze, il tempo buono ha permesso a tutti i membri della spedizione di ultimare l’intero tragitto in 23 giorni).
L’unico trucco sta nel prezzo – la spedizione Flash sull’Everest costa 110.000 dollari – ma Furtenbach è un’agenzia che rivolge i propri servizi a chi è interessato al fiorente mercato delle spedizioni di lusso sul tetto del mondo.
Mentre l’agenzia sta moltiplicando i suoi sforzi per mettere l’Everest alla portata di un’ampia gamma di dirigenti in vacanza con sempre poco tempo a disposizione, altre agenzie aggiungono comfort che di solito si trovano nei campi dei safari di lusso.
Insomma, oggi la vetta di 8848 metri rappresenta il top non più dell’esplorazione, ma del settore commerciale dei viaggi d’avventura.
A renderlo sempre più sicuro sono le previsioni del tempo sempre più accurate, un equipaggiamento migliore, itinerari diversi e abbondante ossigeno in bombola, e così pure la sparizione del famigerato Hillary Step, la parete rocciosa scomparsa probabilmente in conseguenza del terremoto del 2015 e diventata oggi un pendio poco erto.
Gli scalatori più facoltosi, che in passato avrebbero rinunciato a una scalata più impegnativa o a una spedizione più lunga, oggi aggiungono l’Everest al loro elenco di mete che desiderano raggiungere nel corso della loro vita.
Nella stagione delle scalate primaverili di quest’anno, che si è conclusa alla fine di maggio, hanno raggiunto la vetta dell’Everest più di 700 persone, un record assoluto.
Una spedizione ha lasciato proprio in cima alcuni gettoni di criptovaluta come pubblicità; un’altra vi ha depositato una statua di un ex re nepalese.
L’operatore nepalese Seven Summit Trek afferma sul suo sito web che il servizio “VVIP” a 130.000 dollari “all inclusive” è destinato a coloro che “vogliono sperimentare che cosa si provi sul punto più alto del pianeta, avendo a disposizione un solido background economico in grado di compensare l’età matura, condizioni fisiche non proprio ottimali o la paura dei pericoli”.
Forse, nella traduzione è andato perduto qualcosa del testo preparato dal gruppo nepalese, ma l’idea che l’Everest sia diventato una meta che anche i più facoltosi non in forma e anziani possono permettersi di raggiungere solleva non pochi interrogativi sul rispetto che si ha per la montagna più alta del mondo.
“Stanno ridefinendo da zero il concetto di lusso sull’Everest. Ma tutto ciò non ha assolutamente senso dal punto di vista dell’alpinismo” dice Ed Douglas, scalatore britannico e direttore dell’“Alpine Journal”.
“Arrivare in vetta è sicuramente una straordinaria conquista a livello personale, ma se uno naviga nell’oro, in genere una soluzione per farcela la trova in ogni modo”.
Kenton Cool, una guida britannica che è arrivato in vetta all’Everest con alcuni clienti per la tredicesima volta quest’anno, è sbigottito dall’inesperienza che vede nella “Death Zone”, la cosiddetta zona della morte sopra gli Ottomila metri.
“Spesso mi accorgo di persone che non hanno mai indossato un rampone in vita loro e mi viene spontaneo chiedermi: ‘Dio mio, ma se io entrassi nel tuo consiglio di amministrazione senza la minima esperienza, non mi rideresti dietro? Che cosa ti fa pensare che la tua sia una buona idea?’”.
C’è da chiedersi dove siano finiti l’amore ed il rispetto per la Montagna e la natura, ma anche il gusto della fatica e della conquista. Siamo talmente assillati dall’orologio e stressati dal tempo, che non siamo più capaci di dedicarlo né a chi né a cosa realmente ci interessa.
In Montagna così come nella Vita, non è forse la destinazione ma il viaggio che conta? Quello che ti insegna l’umiltà, ti fa gustare la fatica e commuovere di felicità in Vetta? O lassù siamo troppo presi a guardare l’orologio?