Epoca di partigiani. Epoca d’ignavi. Strana contraddizione questa. Eppure è una caratteristica dei nostri giorni. E ignavo e partigiano sono di fatto due tipi umani che rappresentano bene la nostra quotidianità. La vita che conduciamo. O meglio l’esistenza che ci trascina nei giorni…
Quello dell’ignavo è un tipo umano ben definito da molto, moltissimo tempo. La memoria va, naturalmente, a Dante. Che, fra tante cose, è una fonte inesauribile di Archetipi. Universali e, per molti versi, atemporali.
La scena dell’Antinferno, nel Canto III. Il grande vestibolo oscuro. Il frastuono che compenetra l’aere… Le vespe, i tafani, il loro ronzio assordante. E il risuonare di mani che cercano di allontanarle.
Poi la schiera, anzi la turba di coloro che sono a Dio spiacenti e agli inimici sui… Una moltitudine condannata a correre in eterno. Il sangue che cola lungo le gambe nude. Vermi che se ne cibano. La banderuola che cambia direzione ad ogni vento. Vorticosa. Diventata, da allora, proverbiale.
Turba di anime destinate a non lasciare traccia nel mondo. Esistenze perdute. Sprecate. Inutili.
Nelle parole de Dante solo disprezzo. Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. Nessun nome. Solo un, vago e nebuloso, accenno a colui che, per viltà, fece il gran rifiuto. Forse Ponzio Pilato. Forse altri. Ma non vi è certezza alcuna.
Gli ignavi. Coloro che mai hanno preso una posizione nella vita. Coloro che non sono mai stati vivi. Che si sono limitati a seguire la corrente. Esistere per esistere. Mera sopravvivenza.
Un tipo di uomo (ma è davvero possibile definirlo così? ) che è, probabilmente, sempre esistito. Ma che oggi prolifera come non mai. È divenuto metastasi.
Invade le strade. I luoghi pubblici. I mezzi di trasporto. I Media. È il suo momento. Parla. Pontifica. Censura chi è diverso. Si sente forte. Nel giusto. Modello di civiltà. È lui il cittadino perfetto. L’esemplare caro al potere. Ai signori di questo mondo. Vile, spregevole. Ma arrogante. Perché ha diritto, pensa, a esistere. A continuare a trascinare una esistenza vuota di ogni significato. Inutile. Ma ne ha diritto. Perché lo dicono i potenti. E la Scienza. Cosa che gli permette di non pensare. E di delegare ad altri ogni decisione sulla sua vita.
Naturalmente è democratico fervente. Perché ciò che conta non è la verità. È la maggioranza. E lui si sente, sempre e comunque, parte della maggioranza.
Poi, vi è il Partigiano. Inteso secondo la definizione, la teoria di Carl Schmitt. Nulla a che spartire con certe vulgate storiche.
Il Partigiano è colui che prende posizione. Che sceglie una parte. Che decide e sostiene una posizione, anche in contrasto con la massa. Con la turba.
Il Partigiano ha un’unica patria. Una sola appartenenza. Che è ciò in cui crede. O meglio ciò in cui ha deciso di credere. Può assumere varie forme. Che vanno dalla posizione culturale, se vogliamo il dissenso rispetto alla vulgata comune dominante. Sino alla guerriglia armata. E persino al terrorismo.
Il Partigiano tutto è fuorché un ignavo. Tuttavia, pur essendo, almeno dal mio punto di vista, più “simpatico” – nel senso etimologico del termine – rappresenta un altro aspetto di questa modernità. Che è caratterizzata dal non sapere, o volere, pensare. Sposare una posizione, per quanto in sostanza giusta e, in parte, condivisibile, in modo acritico. Senza mai concedersi il dubbio. Che è il fondamento, imprescindibile, del pensare. Come aveva ben chiarito già Cartesio.
Il Partigiano crede in qualcosa. Ed è fedele alle sue idee e, in fondo, a se stesso. Il che appare cosa buona, di fronte alla massa degli ignavi privi di intelletto e carattere. Tuttavia, nel suo credere, non riesce a concepire altro da sé. Non riesce a capire che la, cosiddetta, realtà non è semplificabile. È un prisma. In cui ogni faccia è, in certo qual modo, vera. Ma nessuna rappresenta la Verità. In senso assoluto.
Discorsi teorici? Certo. Però guardatevi intorno. E osservate con un qualche distacco, se possibile. Ignavo e Partigiano sono intorno a noi. Forse, anzi, siamo noi stessi. Lo specchio ci può aiutare.