Per 30 anni nessuno ha visto, sentito, parlato. Poi, improvvisamente, non solo il presunto capo della mafia viene catturato ma, senza che lui, Matteo Messina Denaro, apra bocca, vengono scoperti covi a ripetizione. In mezzo ai paesi in cui tutti non avevano capito con chi avevano a che fare. Neppure le forze dell’ordine che, curiosamente, avevano uffici e alloggi a pochi metri di distanza dal ricercato numero 1.
Ovviamente nei covi si trova tutto ciò che una costruzione mediatica ha bisogno di trovare per fare un po’ di “colore”: il poster del Padrino, la biografia di Putin (ecco dove il boss imparava ad essere cattivo..), la maglia della Juve. Ah no, l’ultima è solo creazione dell’ironia social, ma considerando la credibilità dell’intera operazione ci poteva essere anche quella.
E poi i biglietti aerei per dimostrare che il capo dei capi non veniva arrestato solo perché si trovava all’estero. Chissà perché un latitante super ricercato dovrebbe conservare i biglietti dei voli. Forse perché, non potendo pubblicare su Facebook le foto dei suoi viaggi, ci teneva a far sapere in qualche modo che aveva viaggiato in mezzo mondo. Come un turista qualunque in cerca di visibilità social.
Chi ha un briciolo di memoria storica si ricorderà di tutto il materiale che veniva immancabilmente ritrovato nei covi rossi e neri durante gli anni di piombo e della repressione. Tutto ciò che poteva far scena veniva mostrato alle telecamere ed ai fotografi. Tanto folklore e pochissima sostanza. Salvo, poi, ritrovare il “dossier Moro” a distanza di anni e “casualmente”.
Ma lo stesso briciolo di memoria può far ricordare i dubbi in occasione della cattura di Totò Riina. Possibile che un pastore semi analfabeta fosse il capo dei capi? Il boss della mafia? Non a caso Caponnetto invitò a cercare altrove, tra i “colletti bianchi” della finanza, tra gli imprenditori. Ora la storia si ripete. Davvero basta un Messina Denaro a gestire tutta l’organizzazione mafiosa? Se si presta fede a questa ricostruzione di comodo, allora bisogna ammettere che il livello dello Stato è incredibilmente basso. Perché uno Stato che, con tutte le risorse a disposizione, non riesce a schiacciare in un batter di ciglia un pastore come Riina o un vanesio come Messina Denaro, non è uno Stato ma un dopolavoro di incompetenti.
Non convince neppure la ricostruzione di una “borghesia mafiosa” che avrebbe rappresentato l’acqua in cui il boss si sarebbe mosso con comodità ed in piena tranquillità. Certo, esiste ed è connivente. Perché? Perché lo Stato non funziona. Perché lo Stato esiste solo per far la guerra alle persone oneste attraverso l’Agenzia delle Entrate, ma con i soldi prelevati si guarda bene dal tutelare chi è stato spremuto da tasse e balzelli vari. Anzi, la giustizia è sempre pronta a bastonare gli onesti che provano a difendersi dai disonesti. Inevitabile, allora, che qualcuno preferisca scendere a patti con i criminali.
Però non può essere questa “borghesia mafiosa” a guidare l’organizzazione. Può esserne complice più o meno obbligata, ma certo non rappresenta il vertice. E allora bisogna dare in pasto ai media un malato terminale su cui far ricadere tutte le responsabilità per poter dire che lo Stato ha vinto. Fantastico. Ma le tangenti ed i pizzi che verranno chiesti già domani, a chi verranno versati?