“La gente non ha paura della morte”. Sui social è apparsa questa dichiarazione del Governatore del Veneto Zaia, che in sé – se vogliamo dimostrarci ingenui e sprovveduti – la possiamo interpretare come una buona constatazione psicologica.
Ma dato che non siamo creduloni, né tanto meno dei poveracci inesperti, riteniamo questa affermazione di estrema gravità. Perché l’intento era ed è accusatorio: la gente non rispetta le ordinanze anti-Covid per incoscienza e irresponsabilità.
Ergo: secondo il Venerabile di Conegliano, il popolo deve aver paura di morire. Ritengo questa induzione terroristica un crimine nei confronti della psiche individuale e collettiva.

A parte alcune elucubrazioni psicoanalitiche orfane del divano e dilagate nel sociale, non esiste una paura innata della morte. Il bambino non concepisce la morte, perché non intravede il pericolo, e quindi non può immaginare la sua assenza dal mondo.
Del resto, è proprio la mancanza di questa paura – magari con il concetto di negazione introdotto da Freud e sostenuto, per l’occasione, da Galimberti e Recalcati – che l’uomo è stato avventuriero, esploratore, cacciatore e guerriero.
Adesso, paradossalmente, noi artigiani della psiche dovremmo occuparci di una nuova patologia: l’assenza di paura; mentre chi è inchiodato dalla paura è un angosciato sano.
Se è vero che la ruota è stata inventata dai Sumeri circa 3.500 anni prima di Cristo, e se fondatamente credo che ci saranno stati degli incidenti alle prove dei primi trabiccoli, se avessero avuto paura di morire avrebbero abbandonato immediatamente il progetto.
Chi uscirebbe in macchina con la paura di schiantarsi in autostrada – 1788 morti in questo periodo di riduzione del traffico; 3173 morti nel 2019? Chi curerebbe i malati di epatite, di Aids per paura di infettarsi? Che poliziotto affronterebbe un rapinatore con la paura di finire ucciso? Che operaio lavorerebbe su una impalcatura con la paura di cadere?
La stessa impresa della vita del singolo e della Nazione sarebbe paralizzata dal fantasma della morte.
L’affermazione di Zaia è gravissima, in sospetta compagnia di virologi, psicoanalisti e altri ingaggiati dal potere. Parlare di “assembramenti immondi”, altrettanto che diagnosticare come “negatori dell’angoscia” o come “comportamenti controfobici” coloro i quali vogliono vivere, continuare a sperare e a costruirsi una normalità quotidiana, è un attacco all’integrità psichica degli uomini, le cui conseguenze le vedremo a distanza di anni.
Già molte persone sono terrorizzate dalla nevrosi di vivere; se ancora iniettiamo loro sensi di colpa ed equivoche incertezze, la tenuta emotiva ed affettiva è definitivamente disfatta.
I nonni che hanno paura di infettarsi dai nipoti, questi di uccidere i nonni con il contatto fisico, i vecchi che muoiono soli e i giovani reclusi e distanziati: questa è in sé una dissoluzione psichica.
Ma il politicume fantascientifico, forse, ha proprio paura della mancanza della paura, magari confortata da una immissione di raziocino e da una disinfestazione delle informazioni. Ha paura che l’assembramento per l’aperitivo si trasformi in adunata per la verità, con scricchiolio di poltrone e messa in stato di accusa dei governanti.

1 commento
Completamente d’accordo e aggiungo che la paura è il contrario dell’amore