Che bello! La Scozia vuole un nuovo referendum per staccarsi dall’Inghilterra e punire quel provocatore di Boris Johnson. Che brutto! La Catalogna vuole staccarsi dalla Spagna penalizzando il meraviglioso Pedro Sanchez. È inutile che i media di servizio italiani scrivano appelli affinché i lettori premino il giornalismo di qualità (cioè il loro) quando il modello è il tifo da stadio più becero. Legittimo anche quello, certo, però almeno si risparmino le lezioncine spocchiose sulla correttezza dell’informazione.

Però, al di là della faziosità politicamente corretta, il problema resta e non è di poco conto. Perché pone la questione del modello di Europa che si vuole costruire. Sia la Scozia sia la Catalogna vogliono l’indipendenza dai rispettivi Stati di appartenenza, ma vogliono anche far parte di una Unione Europea che riconosca i popoli prima degli Stati.
È evidente che l’Europa dovrà crescere, dovrà avere maggiori poteri in alcuni settori. Non è più pensabile di affidare la politica estera a Paesi che scelgono ministri come Giggino. L’Italia, da parecchi anni, non ha una politica estera credibile. Non conta nulla a livello internazionale, oscillando tra il servilismo verso Washington e velleitari sogni, subito rientrati, di rapporti privilegiati con Mosca. Non si può trattare con Pechino restando sempre in ginocchio e con il cappello in mano. Non si può imporre le regole alle multinazionali quando si viene presi a pernacchie ad ogni richiesta di rispettare le regole.
E si può pensare di affrontare i problemi economici con l’accoppiata Gualtieri/Patuanelli? O rilanciando Brunetta magari in coppia con Sestino Giacomoni? Quale credibilità ha un ministero dell’Agricoltura affidato a Bellanova? E la Difesa con Guerini? Costoro dovrebbero avere un ruolo internazionale?
È evidente che i governi nazionali, quelli sfigati come il nostro, saranno ridimensionati. Ragazzino, spostati e lasciaci lavorare. Saranno più utili funzionari preparati, in grado di tutelare interessi e peculiarità ad un tavolo europeo. Peccato che Azzolina e predecessori abbiano preparato una scuola fallimentare, in grado di sfornare renitenti alla vanga ma non super esperti nei diversi settori. Neppure in ambito culturale, dove l’Italia dovrebbe rappresentare l’eccellenza assoluta ed invece è costretta a rivolgersi all’estero per importare direttori di musei e direttori artistici.

Dunque se l’Italia è il simbolo del fallimento degli Stati centralisti di stampo ottocentesco, è anche il simbolo del fallimento di molti percorsi verso l’autonomia. Si sono scelti politici incapaci, spesso rapaci, disastrosi nell’ordinaria amministrazione ed ancor di più di fronte alle emergenze. Perciò occorre cominciare a guardare al dopo. A nuove aggregazioni transfrontaliere di popoli con una cultura simile. All’interno di un’Europa che si occupi dei grandi temi che non possono essere affrontati dalle piccole realtà locali. Evitando le discriminazioni a seconda del nemico da colpire (Johnson) o dell’amico da salvare (Sanchez).