Contrordine sovranisti: non è la Cina a comprare quote del debito pubblico italiano, ma è l’Italia ad investire sulla moneta cinese, seguendo l’esempio di Bce e Bundesbank.
Lo spiega il sottosegretario Michele Geraci in una intervista concessa a Maurizio Stefanini per Nododigordio.org.
Non è che i ruoli si siano ribaltati ma proprio grazie a Geraci, profondo conoscitore della Cina e con ottime relazioni ai vertici del governo e del mondo economico e finanziario di Pechino, si sono stretti accordi strategici che potranno portare a proficui risultati in tempi anche brevi.
Una scelta obbligata, quella italiana, dal momento che il nostro Paese è sotto attacco da parte di Bruxelles e, soprattutto, da parte di Emmanuel Macron che ha ripreso l’offensiva in Libia scatenando una nuova guerra civile per estromettere l’Italia dal Paese nordafricano.
E Geraci spiega a Stefanini tutte le opportunità che l’Italia potrebbe sfruttare in accordo con la Cina. A partire dagli investimenti congiunti in Africa, per poi proseguire con intese su trasporti e infrastrutture.
Ma il sottosegretario sfata anche l’immagine ormai obsoleta di una Cina che sappia sfornare solo prodotti di bassa qualità e di basso prezzo. Ormai Pechino dispone di tecnologie per sfidare lo spazio e riesce a produrre tecnologia d’avanguardia a prezzi più bassi dei nostri. Certo, la Cina ricorre anche al dumping e su questo Geraci ha assicurato che l’Italia sarà attenta e rigorosa per evitare fenomeni di concorrenza sleale.
Ma l’intervista a Geraci è importante per altri due aspetti, un po’ sottotraccia ma fondamentali perché – con pochi accenni che sembrano non sfidare nessuno e invece rappresentano una evidente presa di distanza da alcuni centri di potere finanziario e industriale – il sottosegretario ribalta l’idea di un’Italia che debba puntare solo sulle tecnologie e le industrie mentre, a suo avviso, gli studi umanistici sono estremamente importanti in un Paese con un patrimonio culturale immenso e poco valorizzato. E poi ricorda che la Cina continua a crescere a ritmi vertiginosi perché, quando ha dovuto affrontare la crisi, lo ha fatto continuando ad investire invece di tagliare gli investimenti in nome del risparmio e del rigore.
Una lezione che nessuno si illude possa essere appresa da Boccia e compagni.