Al Pentagono sono soliti studiare con attenzione la storia. E, non a caso, fra i loro consulenti vi è uno storico di indiscutibile valore come Edward Luttwak.
Perché la storia, o se vogliamo le storie del passato, è fondamentale maestra in molte cose. Soprattutto nelle vicende militari. Nelle guerre, per intenderci.
E, negli ultimi mesi, molto si deve aver ragionato, nei sotterranei del Pentagono, sull’Offensiva del Tet. L’avvenimento che diede la svolta alla Guerra del Vietnam. La più cocente sconfitta militare mai subita dagli States. Un ferita pur sempre aperta.
Trovo questi riferimenti in un post di Italo Cipriani. Sempre attento a ciò che accade sulla scena politica mondiale. Attento e… originale.
Dunque. Capodanno Vietnamita (Tet Nugyên Dan), tra il 30 e il 31 gennaio del 1968. Dopo mesi di stallo, una guerra tanto sanguinosa quanto paralizzata, i Nord Vietnamiti e il Fronte Vietcong scatenano una grande offensiva contro le principali città del Sud Vietnam. Mettendo in serie difficoltà gli americani e i loro alleati.
Al di là dei risultati pratici – in verità abbastanza ridotti – questa offensiva ebbe un effetto politico deflagrante. Il Presidente Johnson, l’uomo della escalation militare, annuncia il suo prossimo ritiro dalla politica. Si apre una lunga fase di trattative che porterà, con la Presidenza Nixon e, soprattutto, la Segreteria di Stato di Henry Kissinger, al disimpegno statunitense.
E alla vittoria finale di Hanoi.
Cosa può avere a che fare questa vicenda di oltre mezzo secolo fa, con la strategia americana in Ucraina oggi?
Vediamo di andare per punti precisi. Pur inviando una enormità di aiuti militari, e reparti di “consiglieri” ed esperti, Washington ha evitato in tutti i modi l’errore della escalation. Scegliendo lo schema della guerra per procura. Sono gli ucraini, e in subordine “volontari” polacchi e baltici, a fornire la carne da cannone. I ragazzi americani non devono tornare in patria dentro sacchi di plastica.
Fatto fondamentale. Perché evita la frattura tra Governo di Washington e opinione pubblica statunitense. Che fu la vera causa prima del crollo americano in Vietnam. Nessun movimento pacifista…. nessuna manifestazione di massa.
Anche perché, questa volta, tutto è stato preparato molto bene. L’allarmismo per il COVID, non a caso artatamente enfatizzato dalla Amministrazione Biden, è servito a mettere sotto controllo l’informazione. Negli States non vi sono più i media indipendenti dei tempi del Vietnam. E il caso Assange lo dimostra.
Poi, gli strateghi di Washington hanno provato a rovesciare il modello “offensiva del Tet”. Spingendo Kiev ad un, lunghissimo, attacco suicida contro i russi. Un massacro improduttivo sul piano della riconquista dei territori. Anche per il controllo russo dello spazio aereo. Cinquantamila soldati ucraini morti. A fronte di perdite russe estremamente limitate. Un, inutile, tritacarne, sotto il profilo squisitamente militare.
Ma l’obiettivo era politico. Evidentemente a Washington e al Pentagono contavano su un crollo del fronte interno russo. Simile a quello che inizò negli States dopo il Tet.
E, probabilmente, quando Prighozin sembrò dare di matto, e marciare, su Mosca, in molti stapparono bottiglie di champagne. Erano sul punto di farcela.
Ma non è andata così. La Russia appare sempre più compatta. E capace di intervenire in altri scenari, come quello africano. Il “pronunciamento” del Cuoco e della sua Wagner si rivelano ogni giorno di più, una “mascherata”. Arte nella quale i russi sono da sempre maestri.
E si è creato un effetto boomerang. Mandare le truppe al massacro, senza risultati né un vero scopo strategico, ha eroso la già scarsa credibilità del regime di Kiev. E, nonostante il bavaglio alla stampa, la repressione di ogni opposizione, appare ormai chiaro che è il fronte interno ucraino ad essere sul punto di crollare.
Sempre più renitenti alla leva, braccati in ogni modo dai, pervasivi, Servizi di Sicurezza. Sempre più notizie di reparti che fuggono dal fronte. O si arrendono ai russi.
Le sempre più scarse notizie sui media occidentali parlano da sole. L’Ucraina è prossima al crollo militare. Meglio, quindi, parlare d’altro.
Certo, il fronte appare ancora statico. Anche se offensive russe si segnalano in più punti, vanificando le speranze in una avanzata dell’AFU. Che, dopo due mesi di sanguinosi fallimenti, appare ormai un miraggio.
Però questa stasi del fronte potrebbe rappresentare la quiete dopo la tempesta. I russi potrebbero, a breve/medio termine scatenare una grande offensiva. Non più una operazione speciale con obiettivi limitati, ma una avanzata in direzione di Kiev e della profondità del paese.
È questo, probabilmente, a preoccupare gli analisti del Pentagono. Anche l’offensiva del Tet intervenne dopo un lungo periodo di calma apparente. E, guardando più vicino, lo stesso accadde in Afghanistan.