Fontana non lo conosco: la Lombardia è grande, popolosa e piena di realtà diversissime
Da Bergamo, Varese sa di Svizzera, placidi laghi e poco più, come, presumo, da Varese, Bergamo sa di polenta, Orobie e poco più. Questo per dire che c’è Lombardia e Lombardia e non sempre queste Lombardie si conoscono tra loro.
Milano è fighetta, un po’ cioccolataia, e vota a modo suo: le prealpi sono ruspanti, la pianura è solida e saggia. Normale, quindi, che pur essendo io lombardo e, da sempre, vicino all’area politica che ha espresso il nuovo governatore, di Attilio Fontana so solo quello che me ne dicono miei amici fededegni, che ne parlano con stima ed entusiasmo. Invece, conosco molto bene Gori.
Perlomeno, come puoi conoscere il tuo più vecchio amico: uno con cui hai condiviso scuole e sport e di cui sei stato perfino il testimone di nozze.
Vi parlerò di Gori, pertanto: e del perché, secondo me, in queste elezioni regionali non poteva vincere, ma, al massimo, perdere bene
Gori è un singolare miscuglio di lucidità manageriale e senso, perfino un po’ catechistico, del sociale: sa essere, alla bisogna, spietatamente pragmatico, eppure ha un’anima gentile e un’autentica sensibilità verso chi sta peggio.
Insomma, io posso parlarne quasi solo bene: capisco che penserete io sia di parte, ma non è così.
Tanto è vero che non l’ho votato: ho votato Fontana
Perché, se si trattasse di eleggere il capoclasse (litigammo, molti lustri orsono, proprio su di un’elezione del genere), lo voterei senza esitare: ma qui non si trattava di scegliere una guida per la gita scolastica, sibbene l’uomo che avrebbe dovuto guidare la più importante regione italiana per i prossimi, cruciali, cinque anni. La mia regione.
E Gori è il PD; dirò di più, nell’immaginario comune, Gori è come Renzi: è un Renzi che lavora e non fa le smorfiette
La politica scellerata del PD, soprattutto in materia di immigrazione, unitamente alla montante antipatia che l’arroganza pertinace di Renzi ha suscitato nel Paese, sono state zavorre insuperabili, nella corsa di Gori verso il Pirellone. Anche perché Gori, avrebbe, per forza, adottato in Lombardia alcune scelte assolutamente impopolari del PD di Renzi.
Inoltre, la Lombardia non è Bergamo, dove Gori aveva vinto le comunali a mani basse: certe suggestioni funzionano qui da noi, ma altrove restano al palo. Infine, la Lombardia non ama i salotti: preferisce le officine o i bancomat.
Quindi Gori non poteva, lo ripeto, vincere: non con questo emblema sulla scheda e non con questa squadra di governo
Perché il vero limite di Gori non è in lui, ma al di fuori di lui: il partito che lo ha sostenuto e i personaggi che si sono messi in scia, cercando di sedere alla tavola del vincitore.
Io ne ho osservato qualcuno: quasi tutti sono una via di mezzo tra il parvenu da racconto di Maupassant e il piccolo arrivista.
Gori non se li meritava dei compagni di cordata così sfigati: lui è un cavallo di razza, loro dei bardotti da traino. Mettici una squadra di brocchi, mettici l’effetto Renzi, quello PD, la proverbiale ostilità dei Lombardi per i riboboli del centrosinistra, e mettici pure un governo precedente che, evidentemente, non deve avere poi così deluso i cittadini, se hanno votato con convinzione per la continuità: la sconfitta di Gori era già scritta.
Adesso, però, non vorrei essere nei suoi panni. Quando ho postulato che, secondo me, aveva accettato di perdere a Milano, per avere un posto a Roma, mi ha detto che avevo scritto una gran cazzata: voglio crederci.
La questione, dunque, è se farà il capo dell’opposizione al Pirellone, dove conterà come il due di briscola, oppure tornerà a fare il sindaco di Bergamo, da sconfitto e con il sospetto che della città, in fondo, gli fregasse pochino. In ogni caso, una situazione non certo gradevole.
So che, alla fine, se la caverà, e gli auguro ogni bene: dei suoi manutengoli, invece, nulla mi frega. E vi confesso che il fatto che la Lombardia li abbia rimbalzati mi riconcilia con la politica. Che, come il basket, è uno sport in cui si vince tutti assieme.