Cari lettori,
oggi vi presento un giovane artista biellese: Lorenzo Gnata. La sua ricerca artistica si concentra attorno ai drammi dell’essere umano contemporaneo, mostrando, attraverso azioni dal forte impatto poetico, tutte le sue fragilità. La sua sensibilità lo spinge a creare opere ed installazioni che suscitano un forte contatto emotivo con lo spettatore. Spesso Lorenzo raffigura scene quotidiane: ogni soggetto raffigurato è testimone di una storia, di una vita densa di fatti per lo più a noi ignoti. Come quando cammini per strada e incrociando un’altra persona ti chiedi “Cosa starà pensando? Cosa prova in questo momento? Chissà dove si sta dirigendo e chi incontrerà?” ci poniamo domande intorno a vite “altre” che apparentemente sembrano lontane da noi… e invece nella realtà sono, almeno sul lato emotivo, vicinissime.
Lorenzo è appassionato di poesia, infatti come avrete modo di leggere più avanti pensa che arte e poesia viaggino di pari passo sulla stessa linea, l’arte come dice Gnata “è poetica”. Questa intervista è un po’ diversa da tutte le precedenti perché, oltre a narrare dell’autore e delle sue opera, sviscera molteplici problemi sociali importanti. Il suicidio, l’affrontare un lutto, il reprimere le proprie emozioni, il non sentirsi abbastanza accettati all’interno di una società che non ammette errori e che corre troppo veloce per soffermarsi ad aiutare i più deboli.
Lorenzo ha partecipato all’edizione di Paratissima 2022 portando l’opera “DOVE SEI?” installazione composta da tanti bigliettini di carta legati da un filo appoggiati sul pavimento. L’opera si propone come una riflessione sulle persone che se ne vanno. Persone che lasciano la propria terra e le proprie radici, per volontà o per necessità, andandosene lontano da casa. Ma anche persone che scappano da situazioni drammatiche, o che se ne sono andate pur stando ferme, questa volta senza possibilità di tornare.
Spesso, nonostante la distanza possa sembrare abissale, vi è però una cosa che le lega e non le lascia sfuggire nell’ignoto: il ricordo. Ricordo di quella terra e di quelle persone lasciate alle spalle. Ma soprattutto, ricordo di chi aspetta, e ne attende il ritorno. O semplicemente, di chi quel ricordo lo custodisce come quanto di più caro. Ed è proprio in quelle persone che restano, nelle loro voci, che riecheggia la domanda “Dove sei?”. Un quesito destinato a non ricevere risposta, perso nel nulla e trascinato lontano dal vento come foglie in autunno. Lo stesso vento che spinge sempre più in là gli aquiloni, facendoli volare via, e che sembra volerli portare con sé, sino a smarrirli nel cielo.
Persone che guardano con nostalgia una terra lontana alla quale sperano di fare ritorno, o degli affetti da troppo tempo negati e sopiti. Sebbene quegli aquiloni possano svanire nel blu profondo del cielo ed allontanarsi dalla nostra vita, non saranno mai persi, e noi con loro, perché finché ne avremo memoria, il sottile filo del ricordo li terrà legati al nostro cuore.
Buona lettura!
B: Come nasce la tua arte?
L.G: Può sembrare una risposta banale, ma la mia arte nasce da un’intuizione. Cerco di unire punti distantissimi, di collegare opposti, di costruire relazioni. Inizialmente questi legami comparivano come delle vere e proprie folgorazioni, dei brividi capaci di testimoniare l’autenticità dell’idea; la sua completezza.
Ora ho capito come indurre queste intuizioni. Lasciandomi trascinare dalle associazioni libere che la mia mente costruisce, e nutrendomi di stimoli esterni derivanti da tutti i possibili ambiti.
B: Perché pensi che l’arte faccia riflettere le persone?
L.G: Quando l’arte non si limita ad una dimensione meramente estetico-decorativa, porta sempre con sé un aspetto riflessivo.
Sono cresciuto e sono stato formato con la consapevolezza che l’arte esista per comunicare qualcosa; che sia retta da un concetto di fondo, più o meno visibile.
Io, che mi ritengo di matrice concettuale, non riuscirei a concepire un’esperienza artistica priva di contenuto. Sarebbe uno spreco immenso. Forma e contenuto, per me, devono nascere in contemporanea. Perché l’una stimola la creazione dell’altro, e viceversa.
B: Definisci la tua arte con 3 aggettivi.
L.G: Poetica, sensibile, sociale.
B: Quando ti sei sentito un artista?
L.G: Non ricordo con precisione un momento in cui mi sono sentito artista. Forse perché non c’è stato. O semplicemente non me ne sono accorto.
Ricordo però che una mia professoressa del liceo, A. B., estremamente orgogliosa della mia partecipazione ad Artissima 2015 con la performance Qual è l’ultima cosa che hai imparato? disse “Da questo momento, Lorenzo, potrai farti chiamare artista, e nessuno potrà dire il contrario”.
B: Che messaggio vuoi trasmettere attraverso le tue opere?
L.G: Difficile dare una risposta univoca, perché tendenzialmente il messaggio si plasma in base alle finalità comunicative.
Posso però dire che mi interesso, e tento di raccontare, l’esistenza contemporanea, umana e non, prestando attenzione alla traccia di tale esistenza. Più nel concreto, racconto la vita delle persone e del mondo in cui viviamo, attraverso metafore, similitudini, opposizioni, suggestioni, a volte fatte di concretezza, altre di istanze metafisiche.
B: Che rapporto hai con le emozioni?
L.G: Sono una persona molto sensibile ed emotiva, pertanto suppongo che questa mia caratteristica permei anche nelle opere che creo.
Non mi interessa forzare gli aspetti emotivi, nelle mie creazioni. Penso che una buona opera sia in grado di generarli da sé.
B: Che tecnica utilizzi per creare le tue opere?
L.G: Ho studiato pittura in accademia per cinque anni, diplomandomi due volte, però non la considero la mia forma espressiva prediletta. Sin dagli inizi non mi sono posto dei limiti tecnici. Ogni opera era un discorso a sé, pertanto, nella creazione, ricercavo una forma espressiva in grado di restituirne l’idea con la forza maggiore. Alcune idee erano più adatte alla pittura, altre alla videoarte, altre alla fotografia, alla scultura o all’installazione, ecc.
Ancora oggi non mi pongo dei confini. La mia arte non va ricercata in una tecnica, ma nella poetica che la anima.
B: Come ti senti quando crei?
L.G: Con buona pace dell’immaginario collettivo che vuole l’artista tormentato durante l’atto creativo, io mi sento bene. Non sono scosso da un torrente di emozioni, né mi trovo in balìa dell’imprevedibilità. Semplicemente sono in pace con me stesso e con tutto ciò che mi circonda. Sono consapevole di ciò che sto facendo e so quale direzione seguire per rendere concreta la mia idea. Ecco, questa è forse la parte che preferisco: dare a tutti la possibilità di vedere la mia idea. Palesare e rendere visibile ciò che per me già lo era, nella mia mente.
B: Quanto è importante la sensibilità nell’essere umano?
L.G: Ritengo che sia fondamentale. Senza sensibilità, cosa saremmo? Avulsi dal mondo. Staccati da tutto e da tutti.
B: Cosa ne pensi degli NFT?
L.G: Sono una grande invenzione. Tra NFT e AI, siamo nel bel mezzo di una rivoluzione simile a quella portata dall’invenzione della fotografia, e non ce ne rendiamo conto.
Spero che, terminata l’euforia iniziale, emerga una seria riflessione artistica su questi nuovi strumenti, non usandoli in modo passivo.
B: Hai un progetto nel cassetto che aspiri a realizzare nel breve periodo?
L.G: Ho molti progetti che aspettano solo qualcuno che creda in loro e che voglia vederli realizzati. Tra questi, ne ho a cuore uno che porterebbe le mie rondini lontano da casa. Chissà…
B: Arte e poesia: pensi possano viaggiare verso la stessa direzione?
L.G: Lo chiedi ad una persona che passa il tempo a memorizzare poesie! Per me sono la stessa cosa. Il loro legame è talmente forte che la ricerca artistica viene spesso definita poetica (es. – Qual è la tua poetica?-).
B: Pensi che un giovane artista faccia fatica ad affermarsi nel panorama artistico nazionale? Avresti dei suggerimenti da dare ai ragazzi giovani che si approcciano a questo mondo per la prima volta?
L.G: Dubito di poter dare grossi consigli, dal momento che sono tutt’altro che inserito nel panorama artistico nazionale e che in Italia si è giovani artisti sino a 40 anni. Ho ancora parecchia strada davanti a me e tante cose da imparare.
Mi sento solo di dire di non smettere mai di credere in ciò che si fa. Sbagliare spesso ed imparare, ma mai smettere di credere.
B: Quanto è importante per te la competitività in campo artistico?
L.G: Poco. Una persona mi disse che durante il Rinascimento, artisti come Michelangelo e Leonardo si odiavano, perché erano talmente carichi di sé da non contemplare altro che la propria arte. In misura diversa, da sempre è un’abitudine del mondo artistico, tra complessi di inferiorità e narcisismo sfrenato. Penso che oggi più che mai, per poter lasciare un segno, l’unica strada sia fare rete. Creare connessioni tra artisti. Supporto e sostegno reciproco, pur mantenendo la propria identità. Perché la storia ci ha insegnato che, eccetto qualche caso isolato, gli artisti, se sono in gruppo, possono fare grandi cose.