C’era una volta un signore che viveva a Portocomaro, in provincia di Asti, terra di celebri vini e pregiati prodotti tipici.
Era il nonno di Papa Francesco.
C’è invece oggi un altro signore, l’oste del titolo, che vuole portare in omaggio al Papa quel buon vino e quei prodotti del territorio che rendono unica al mondo la nostra bella Italia.
Come avrete intuito ci vuole andare in bicicletta. Partire da Portocomaro e arrivare fino a Roma in Vaticano attraversando l’Italia sulla via Francigena.
Lui è un campione del Km zero. Un ristoratore da sempre attento alle tematiche ambientali e alla salvaguardia del territorio. Lungo il suo viaggio incontrerà quei produttori che si caratterizzano per seguire ideali di produzione sostenibile, etica e locale. Il paniere della sua bicicletta si arricchirà così di nuovi e preziosi doni per Papa Francesco.
Per compiere il suo pellegrinaggio però dovrà farne di chilometri, più di 700.
Ma li farà in modo completamente ecologico in sella alla sua bici cargo.
E li farà per accettare e riaffermare l’invito che fece Papa Francesco nella sua enciclica LAUDATO SI’,
a riformare la società secondo ideali più sostenibili di alimentazione, di rapporto con il territorio e di legami sociali.
La Radio Vaticana lo seguirà quotidianamente con una rubrica dedicata al suo viaggio.
Vi parlo di questo progetto non solo perché mi sembra una lodevole iniziativa, ma anche perché tutto questo diventerà un film per il cinema.
Un documentario prodotto da L’AltroFilm, casa di produzione e distribuzione del regista e produttore Louis Nero.
L’oste si chiama Gianfranco Mossa, ha un ristorante ad Avigliana. Con lui in questa avventura ci sarà l’amico Fulvio De Marchi e una piccola troupe capeggiata dalla giovane regista Giulia Livigni.
Di solito parlo di film che ho visto, ma dato che questo documentario lo devono ancora girare (primo ciak il 19 ottobre ‘22) ho pensato di chiedere direttamente alla regista. Il fatto poi che “L’OSTE A PEDALI” sarà la sua opera prima ha aumentato la mia curiosità.
Giulia Livigni (classe 1994) si è laureata al DAMS a Torino per poi proseguire i suoi studi presso la Scuola Nazionale di Cinema Indipendente di Firenze.
Allora Giulia, ci racconti come hai intenzione di affrontare questa avventura?
Diciamo che l’affronto con l’intenzione di portare un messaggio: è possibile ed è giusto fare delle scelte individuali che siano sostenibili per l’ambiente. Che sia possibile cercheremo di dimostrarlo raccontando le storie dei produttori che incontreremo lungo il viaggio. Che sia giusto dal punto di vista etico mi sembra evidente.
Quando mi chiedo se sia anche giusto, nel senso di efficace per la salvaguardia del pianeta, mi rispondo che credo che le scelte individuali siano determinanti. Più si diffonde tra i singoli la coscienza dell’importanza del rispetto dell’ambiente, più è facile che questo si traduca in scelte sostenibili prese dalle collettività.
Ognuno con i suoi mezzi (certe scelte ecologiche sono oggettivamente troppo costose per alcuni) e con il suo stile, può contribuire. Nel documentario ci sarà Gianfranco Mossa che se la farà tutta in bici e il suo amico Fulvio De Marchi al seguito sull’auto elettrica della troupe. Li seguiremo entrambi e vedremo le differenze. Sono due scelte ecologiche ugualmente condivisibili. Perché non è una gara. Nella nostra società è impossibile essere completamente coerenti nelle proprie scelte con principi di sostenibilità ambientale. È però giusto fare comunque dei piccoli atti concreti, prendere parte nella nostra misura a costruire quella coscienza che è prima individuale e poi, si spera, collettiva, di cui parlavo prima.
Cosa c’è di preparato e cosa sarà lasciato volutamente al caso?
Ci siamo noi, la strada che faremo, la nostra meta finale. Abbiamo alcuni degli incontri con i produttori che sono stati già fissati. Tutto quello che succederà, le persone che incontreremo e quanto tempo ci metteremo non è così definito.
Che tipo di atmosfera vorresti avesse questo film e in che modo pensi di ottenerla?
I due protagonisti, Gianfranco e Fulvio, sono due persone molto simpatiche. Credo mi aiuteranno molto a tenere un’atmosfera leggera e briosa. Non voglio impostare il film stile reality o come quei video blog che seguono i protagonisti 24 ore su 24. Noi racconteremo una storia scegliendo cosa e quando filmare, poi è chiaro che saremo sempre pronti a cogliere l’imprevisto.
Quanto è importante la dimensione spirituale per tutti voi, protagonisti e troupe,
in un documentario che è anche un pellegrinaggio?
Io posso parlare per me. Ho una mia dimensione spirituale, non sono religiosa, ma ho grande rispetto per tutti i credi. D’altronde ho accettato di farmi portavoce dei valori di un’enciclica papale.
La pratica del pellegrinaggio è da sempre una modalità che l’uomo ha adottato per sviluppare e nutrire la sua componente spirituale interiore e condivisa. Io seguirò Gianfranco con una bicicletta e dormirò in tenda. In questo film saremo tutti pellegrini, protagonisti e troupe. Abbiamo pensato che era l’unico modo per raccontare questo viaggio. Davanti e dietro la macchina da presa questo viaggio lo faremo assieme e credo e spero che ognuno di noi farà un suo percorso spirituale interiore e condiviso. Io sarò lì, con tutti gli altri, a viverlo e a raccontarlo.