Sono tanti i dubbi che aleggiano intorno alla morte dell’italiano Luca Ventre, avvenuta il 1° gennaio 2021, nell’ambasciata italiana a Montevideo, capitale dell’Uruguay.
Padre di una bimba di 6 mesi, Luca Ventre si era trasferito a Montevideo nel 2012, affiancando il padre Mario, che tutt’ora vive nel paese sud-americano. Arrivato in Uruguay, Luca ha aperto prima un bar, poi una pizzeria e ha collaborato con la Camera di commercio della città nel settore dell’import-export di alimentari, in particolare cioccolato.
Quel 1° gennaio, nelle primissime ore della mattina, il 35enne di origini lucane ha scavalcato la recinzione dell’Ambasciata, nel tentativo di parlare con un diplomatico per essere rimpatriato in Italia. Qui, Luca è stato fermato da una guardia privata (di una società di vigilanza locale) e da un agente della polizia uruguaiana deputato alla protezione delle sedi diplomatiche. Questa è la versione ufficiale comunicata dall’Ambasciata il 2 gennaio. Tuttavia, la morte di Luca è una vicenda segnata da omissioni e incongruenze, alimentate dalle recenti testimonianze dei suoi familiari e dai filmati delle telecamere di sorveglianza dell’Ambasciata.
Ora la Procura di Roma indaga per omicidio. Intanto, a detta del fratello Fabrizio Ventre, la Farnesina non ha dato nessuna risposta nonostante le continue telefonate della famiglia.
La ricostruzione della vicenda Ventre
Come si evince dal comunicato dell’Ambasciata, la mattina del 1° gennaio Luca ha scavalcato la cancellata all’ingresso dell’ufficio dell’Ambasciata ed è entrato, nel tentativo di parlare con un diplomatico per essere rimpatriato in Italia. Ha suonato ma nessuno gli ha aperto. Come prassi vorrebbe, avrebbero dovuto essere le guardie italiane a presidiare il territorio dell’Ambasciata. Invece, in cortile, Luca ha trovato due agenti. Secondo la nota della Farnesina, si tratta di una guardia privata di una società di vigilanza locale e un agente di polizia locale armato, entrambi uruguaiani. I filmati delle telecamere di sorveglianza hanno segnato le 7.04 (ora locale di Montevideo). Il video non è molto chiaro, ma il sito Fanpage, tra i primi ad indagare sulla vicenda, ha spiegato così la dinamica dei fermi immagine. Il tutto si è svolto in una quarantina di minuti al massimo.
Qualche minuto dopo l’ingresso nell’Ambasciata, tra le 7.05 e 7.07, Luca è uscito dal campo visivo della telecamera (l’Ambasciata non ha fornito i filmati interi). Poi, è riapparso nel video della sorveglianza mentre camminava dirigendosi verso l’uscita. La guardia lo ha seguito a distanza. Luca ha tentato di scavalcare il cancello per uscire, ma la guardia lo ha rincorso, lo ha afferrato per i pantaloni e lo ha riportato a terra. A quel punto è intervenuto anche il poliziotto, che gli ha messo un braccio sul collo, con l’aiuto della guardia che si stava occupando di tenerlo fermo. Le tecnica usata dal poliziotto si chiama “chiave di judo”.
Luca ha tentato invano di liberarsi dalla stetta. Non ci è riuscito. Erano le 7.18 quando Luca ha smesso di muoversi. Le immagini successive sono quelle della guardia al telefono. Non si sa con chi stia parlando. Ma sono lunghe telefonate. La Procura non ha risposto a nessuna delle richieste da parte dei legali della famiglia Ventre di acquisire i tabulati telefonici.
La vittima era stesa a terra, completamente immobile, stesa sul fianco, con un braccio sotto il corpo, e l’altro disteso. Erano passati 13 minuti. Con il braccio del poliziotto ancora sul collo. Alle 7.40 tre persone sono entrate in ambasciata. La vittima è stata così sollevata di peso da due agenti e trascinata nell’auto della polizia. L’auto, diretta verso l’Hospital de la Clinica senza sirene né lampeggianti accesi, è arrivata all’ospedale in quattro minuti.
Secondo Fanpage, le versioni dei due agenti di polizia che hanno portato Luca in ospedale sono discordanti. Il primo ha sostenuto che, in auto, Luca si era improvvisamente svegliato ed era diventato violento. Un vero e proprio “uragano”. E che, per questo, sarebbe stato necessario somministrargli dei farmaci e metterlo su una carrozzina. Secondo l’altro agente, invece, Luca era semi cosciente durante il tragitto, ha avuto delle convulsioni e ha presentato i sintomi di un arresto cardiaco in corso. Per questo motivo i due agenti lo hanno portano in ospedale.
Le carte dell’autopsia smentiscono l’ospedale
La Procura di Montevideo ha interrogato il personale medico che la mattina del 1° gennaio era di turno all’Hospital de la Clinica. Le testimonianze e le trascrizioni degli interrogatori, cui sono stati sottoposti i medici e gli infermieri, si sono focalizzate sull’arrivo in ospedale di Luca e sulla notifica del suo decesso. Eppure, le tre versioni di quanto sarebbe successo all’interno dell’ospedale erano diverse fra loro. E nessuna di queste ha chiarito a pieno i primi risultati dati dall’autopsia.
L’autopsia effettuata dal medico legale non ha evidenziato cause apparenti di morte dovuta a traumi o lesioni, ma il cervello ha presentato uno stato edematoso compatibile con la morte da asfissia. Da strangolamento. Il viso e il corpo di Luca hanno riportano ferite superficiali. In prima battuta gli ematomi sul collo sono stati giustificati con le iniezioni di farmaci. Il cuore era sano e in perfetta forma. Nessun segno evidente di infarto. Campioni di cuore e cervello sono stati inviati per l’analisi patologica. Campioni di sangue, urine e organi sono stati trasmessi per l’esame tossicologico. Ancora nessun risultato. Fanpage ha mostrato in esclusiva il documento ufficiale. Le lesioni superficiali sul corpo non sono stati sufficienti a spiegare le cause della morte e saranno necessari altri esami. La famiglia intanto ha chiesto che venga fatta un’autopsia in Italia.
Le diverse versioni di chi ha accompagnato Luca
La prima versione di quanto sarebbe sucesso in ospedale è rilasciata da una dottoressa del reparto PS. Era in turno al pronto soccorso dell’Hospital de la Clinica da appena qualche minuto (8.00). Ha dichiarato che Ventre fosse già morto, quando le era stato affidato alle 8:06.
La seconda versione è fornita dall’agente L. che ha ammanettato Luca in ambasciata, lo ha portato in ospedale e lo ha scortato al suo interno. Versione che aveva trovato riscontro nel referto del Pronto Soccorso. Luca era in stato di fortissima agitazione, a detta dell’agente, ed era particolarmente violento già a bordo della volante. Motivo per cui gli agenti lo hanno portato in ospedale. Lo hanno legato in carrozzella, lo hanno scortato e lasciato in un box di sicurezza. Qui, gli sono stati somministrati dei farmaci, il midazolam e l’haloperidol tramite iniezioni sul collo e senza un esame medico preliminare. Dopo alcuni minuti dalla somministrazione, Luca è andato in arresto cardiaco. Dopo cinque cicli di rianimazione è dichiarato morto. Erano le 8.30. La ricostruzione cronologica dell’agente era però diversa da quella del medico che ha firmato l’accettazione e il referto del Pronto Soccorso.
La terza versione, infine, è data da un’altra infermiera. Ha dichiarato che Luca è entrato al Pronto Soccorso con le convulsioni, non era in grado di parlare. E’ andato in arresto cardiaco.
Il padre di Ventre, che è residente in Uruguay, è stato avvisato solo diverse ore dopo del fatto che il figlio fosse in ospedale ferito, quando molto probabilmente era già morto.
La precisazione della Farnesina sul caso Ventre
Il ministero degli Esteri, in una nota della Farnesina che ha ricostruito l’accaduto, ha fatto sapere di aver messo i filmati ripresi dalle telecamere dell’ambasciata a disposizione delle due magistrature, italiana e uruguaiana, che hanno aperto le rispettive inchieste. Che sono tutt’ora in corso. In una nota, la Farnesina precisa che “su indicazione del Ministro Di Maio, l’Ambasciata a Montevideo continua a seguire il caso con la massima attenzione ed è in costante contatto con le autorità uruguaiane, affinché alla vicenda venga assicurata massima priorità e possa essere fatta piena luce quanto prima su questo tragico evento”.
Anche la vice ministra Del Re ha indirizzato personalmente una lettera ai familiari del connazionale, assicurando la piena assistenza della Farnesina e auspicando che sia fatta al più presto giustizia sul caso. Eppure questa versione non ha trovato conferma nelle parole della famiglia di Luca Ventre.
L’accusa del fratello: “massacrato da un poliziotto”
“Quel che sappiamo, e quel che ha dichiarato alla guardia che lo ha accolto in Ambasciata, è che era in pericolo di vita, chiedeva protezione e che voleva tornare in Italia”.
Il 4 gennaio la famiglia ha potuto visionare le immagine della videosorveglianza. Queste sono le considerazioni del fratello al riguardo:
“Ho visto le immagini delle telecamere di sicurezza. Diversamente dal primo comunicato del 2 gennaio che riportava che mio fratello aveva scavalcato ed era morto per un malore, è stato invece massacrato e torturato da un poliziotto che gli ha tenuto il braccio 35 minuti intorno al collo. E’ entrato in salute in Ambasciata, è uscito alle 7.44 a peso morto trascinato dagli agenti a testa in giù”.
Durante l’intervista, il fratello ha raccontato di aver chiamato la Procura di Roma innumerevoli volte. L’11 gennaio finalmente hanno risposto ma non risultava nulla, tantochè l’agente che ha risposto dal casellario ha chiesto a Fabrizio, se avesse saputo qualcosa, di mandargli un’istanza di denuncia con il materiale da loro in possesso.
“Il 18 gennaio mi hanno convocato i carabinieri, ho fatto la mia deposizione e ho dato io le prove”.
Il fratello ha concluso rincalzando sulla plausibilità del rischio di insabbiamento delle prove, vista l’evidenza dei video, che lui stesso ha definito “terrificanti”. E ha escluso il dubbio che nel territorio dell’Ambasciata Luca fosse ancora vivo.
La speranza è che si trovi la verità, a differenza degli altri casi di italiani uccisi all’estero e abbandonati dallo Stato.