La posizione di Jair Bolsonaro sulla pandemia dovuta al Covid-19 fa discutere l’intera stampa mondiale, oltrepassando sia quella verde-oro che quella latino e nordamericana.
Abbiamo deciso di comprendere tutti gli aspetti nei dettagli di questa impostazione voluta dall’inquilino di Palácio do Planalto intervistando Luigi Spera, corrispondente di Agenzia Nova e già autore di un pregevole volume sul rapporto tra il crimine e le favelas della nazione sudamericana.
- Bolsonaro è ascrivibile ai presidenti “negazionisti” o ai semplici “riduzionisti” riguardo gli effetti del coronavirus?
Bolsonaro tende a inviare messaggi contradditori e opera spesso repentini cambi di rotta su molte questioni cruciali per il paese. Una postura che analizzata sotto la lente della comunicazione politica, sarebbe da ascrivere a una strategia del caos. Caos di cui avvantaggiarsi, distraendo la popolazione alle prese con messaggi confusi, slogan tirati fuori un po’ a caso e battute di cattivo gusto. Tuttavia, c’è anche una forte componente dovuta alla mancanza di competenze. Questa porta il presidente a reagire di fronte a complesse questioni con risposte di pancia, talvolta incoerenti o incongruenti, che lo forzano poi a dover ritornare sui suoi passi e a cambiare rotta per cercare di metterci una pezza. Per cui, inserirlo in una casella definita, non è semplice.
All’inizio della crisi Covid, quando questa era ancora ristretta ai confini cinesi, il presidente si era mostrato preoccupato, e con standard estremamente rigorosi aveva gestito il rimpatrio dei brasiliani da Wuhan. In quei giorni il ministero della Salute e altre agenzie di vigilanza sanitaria adottarono protocolli e furono approvati una serie di decreti per proteggere il paese nel miglior modo possibile. Poche settimane dopo, sulla scia del presidente statunitense Donald Trump, Bolsonaro ha avviato la sua crociata contro “l’isteria” e le “montature” dei media internazionali per una “influenzuccia” che al massimo avrebbe ammazzato qualche “vecchietto”. Da qual momento è iniziata la lotta politico-istituzionale contro chiunque andasse contro il suo pensiero e favorisse misure di distanziamento sociale che, secondo lui avrebbero solo danneggiato l’economia. Un’economia che tuttavia non stava affatto rifiorendo con la cura neoliberale non perfettamente riuscita.
2. La crisi politica all’interno del governo del presidente verde-oro appare lampante, dal doppio cambio al dicastero della Sanità alle dimissioni di Sergio Moro alla Giustizia. Cosa figura dietro tutto questo? Dispotismo da parte dell’inquilino di Palácio do Planalto o inesperienza nel ruolo?
Incapacità e dispotismo sono sempre la base quando si analizza l’azione di Bolsonaro, ma le vicende in sé sono scollegate. I due ministri della Salute hanno ceduto di fronte al rischio di dover mettere a rischio la propria credibilità di medici. Il presidente, che genuinamente considera ministri come meri esecutori delle sue idee, voleva imporre prima a Luiz Henrique Mandetta, poi a Nelson Teich la linea. Voleva che di fatto cancellassero le precedenti indicazioni sul distanziamento sociale, considerato cruciale per il contenimento della diffusione del virus, e l’imposizione dell’uso della clorochina nella cura della Covid-19, nonostante fossero stati provati inefficacia e rischio per la salute. Entrambi hanno lasciato e Bolsonaro si è affidato ai militari. L’ex ministro Sergio Moro ha cercato di approfittare di questo momento di difficoltà per sferrare il suo attacco. Moro rappresenta l’altra faccia della medaglia del Bolsonarismo. Utilizzando come pretesto le azioni dispotiche del presidente, Moro ha cercato di smarcarsi per guadagnare un suo posto al sole e accreditarsi come migliore alternativa al Bolsonarismo, probabilmente preparando il terreno per il ‘dopo’, quando crisi economica e effetti della pandemia eroderanno il sostegno al presidente. Moro ha cercato di passare per vittima di Bolsonaro e difensore delle istituzioni impedendo, a suo dire, l’ingerenza del capo dello stato nel nominare vertici della polizia federale più vicini a lui. Ma Bolsonaro è sempre stato così. Quando ha accettato di diventare ministro del suo governo, Moro sapeva quale fosse il Bolsonaro pensiero. Da trent’anni il presidente mostra genuinamente quanto non crede nei valori della democrazia, del contraddittorio, della divisione dei poteri, dell’indipendenza della magistratura. Ci ha costruito una carriera politica e chi lo ha votato e lo continua a sostenere, coscientemente appoggia questa linea.
3. La volontà di non effettuare chiusure e lockdown si è scontrata anche con i settori della destra brasiliana, in particolare i governatori degli stati di Rio De Janeiro e San Paolo e il sindaco di quest’ultima città. Mosse dettate dal volersi proiettare in ottica presidenziali 2022 da parte di João Doria, Wilson Witzel e Bruno Covas o reali differenze di veduta?
La componente politica è evidente. Sia Doria che Witzel hanno affermato di volersi candidare in alternativa a Bolsonaro e, chiaramente, la pandemia gestita così male ha offerto loro un vantaggio e uno strumento politico. Tuttavia c’è anche una consapevolezza di fondo relativamente alla salute pubblica che grava sui sistemi sanitari e sulle casse degli stati e dei municipi.
4. In Italia i periodici che si occupano di geopolitica appaiono affrontare in maniera profondamente diversa la gestione da parte di Bolsonaro di questi ultimi mesi. Per un’Internazionale che lo attacca e definisce “pericoloso per i suoi stessi concittadini” c’è Limes che rivela come Bolsonaro abbia ancora un gradimento sopra il 50% e uno zoccolo duro di sostenitori superiore a quello dei contestatori. La verità, come spesso avviene, sta nel mezzo?
Comprendere le dinamiche brasiliane è difficile. È un paese complesso, conflittuale. Anche in un periodo in cui la ‘dittatura dei social’ che condiziona la narrativa politica e l’informazione richiedendo risposte semplici e immediate anche rispetto a questioni la cui analisi necessiterebbe molto tempo e riflessione, non bisogna farsi trascinare nella superficialità. Il ‘pericolo’ rappresentato da Bolsonaro per la democrazia e i valori umani è qualcosa che viene denunciato da moltissimi anni dalla stampa di tutto il mondo. In particolare dal 2016 quando si è iniziata a ventilare la possibilità di una candidatura di Bolsonaro alla presidenza la campagna di contestazioni si è fatta intensa. I primi anni di governo mostrano che gli allarmismi erano giustificati. Anche se i rischi sono forse maggiori rispetto a quelli denunciati.
Personalmente tendo a prendere sempre con le pinze i risultati dei sondaggi, soprattutto brasiliani e soprattutto della stampa, per questioni metodologiche e politiche. Al netto dei numeri, certamente Bolsonaro conta sul sostegno incondizionato di un consistente zoccolo duro di supporters di estrema destra radicalizzati e pronti a tutto e su una fascia di popolazione che, tutto sommato, crede che in fondo il suo governo sia buono e che bisogna lasciarlo tentare. Si tratta di un elettorato estremamente vario per età, istruzione, posizione economica e sociale che è stato assemblato nel corso di anni in cui il paese è stato attraversato da non meno di sette anni di violenta propaganda basata su una silente campagna a base di ‘fake news’ con l’obiettivo di demonizzare l’avversario politico e la stessa importanza dello stato (democratico) così come costituzionalmente organizzato.
5. Il covid-19 ha raggiunto anche le popolazioni indigene dell’Amazzonia, quanto è reale il rischio di un genocidio di queste tribù?
Da esperto di crimini internazionali uso il termine genocidio sempre con estrema parsimonia. Il fatto che presso l’ufficio del procuratore del Tribunale penale internazionale dell’Aia sia stato aperto un fascicolo in merito con su il nome di Bolsonaro è di certo, potenzialmente, un passo avanti nell’accertamento eventuale di una tanto riprovevole accusa. Le politiche di erosione delle tutele in favore delle comunità indigene e dell’ambiente, insieme all’apertura all’esplorazione e la speculazione selvaggia sono un dato di fatto sia in termini di propaganda che in termini di azione legislativa. Se le comunità fossero davvero isolate come dovrebbero, non sarebbero esposte al contatto con il virus. Tuttavia non è così. A volte mi pare di assistere alla materializzazione davanti ai miei occhi di quanto letto sui libri di scuola relativamente alle cronache dell’invasione e colonizzazione dell’America latina di 500 anni fa. Quando l’avanzata dei conquistadores significava sterminio delle civiltà indigene precolombiane anche attraverso malattie e influenza.
6. Secondo Ricardo Antunes, professore ordinario di Sociologia all’Università di Campinas in Brasile nel suo pamphlet “Politica della caverna. La Controrivoluzione di Bolsonaro” tradotto in Italia da Castelvecchi, Bolsonaro non è l’uomo preferito dallo Stato profondo verde-oro e nel suo esecutivo vivono due anime diverse. I primi, detti “bolsonaristi”, influenzati ideologicamente da Olavo de Carvalho il cui fine è una guerra ideologica alla sinistra e i secondi, il nucleo militare, che controllando molti dei ministeri chiave si identificano principalmente nel generale, oggi vicepresidente, Hamilton Mourão. Il ritorno al potere dei militari tramite una procedura di impeachment che allontani da Brasilia l’attuale presidente è davvero uno scenario per nulla remoto?
E’ evidentemente così. L’ala “olavista” o “ideologica” del governo porta avanti una battaglia di revisionismo reazionario, demagogico e ultraconservatore in salsa evangelica. Rappresenta un grave freno non solo per la diffusione dei valori democratici, ma anche per il progresso umano, sociale, culturale e scientifico del paese. Guidati da un ingiustificato terrore anti-marxista stanno minando alla base il sistema dell’educazione, criminalizzando la stessa istruzione pubblica e universitaria, identificando gli insegnanti come una classe pericolosa. La cultura, il cui ministero è stato soppresso, vista come cosa di sinistra viene osteggiata in ogni ambito. La scienza è subordinata alle sacre scritture. La donna è vista come ‘estensione’ o ‘dipendenza’ dell’uomo o del marito. Omosessualità e transessualità sono considerati un peccato o una malattia, al punto da aver imposto l’abolizione in tutti i consessi nazionali e internazionali (anche in ambito Onu) della parola e del concetto di genere. Esistono per gli esponenti del governo solo uomini e, dopo, donne. E’ qualcosa di aberrante del quale non si ha sufficientemente nozione all’estero e che rappresenta un enorme rischio.
E poi i militari. Chi realmente tiene politicamente in vita Bolsonaro è proprio lo pseudo-partito dei militari. Una potente organizzazione che opera più o meno nell’ombra e controlla gran parte dei gangli dell’amministrazione pubblica. Sono oltre tremila gli esponenti delle forze armate con incarichi di governo e sottogoverno. Senza considerare le posizioni occupate alla guida e nei consigli di amministrazione di agenzie e società di proprietà statale, a quelle nei governi degli stati e dei municipi di tutto il paese e aziende ad essi collegati. Un’occupazione pressoché totale, eppur celata, che rappresenta un grave limite alla democrazia. Di fatto, i militari agiscono con Bolsonaro come una baby sitter che rassicura i genitori e poi appena girano l’angolo mette a letto il bambino e organizza una festa in casa. E’ una sorta di relazione di mutuo soccorso. I militari gestiscono il potere senza metterci troppo la faccia e posizionandosi come “salvatori” della patria e garanzia dell’ordine. Tuttavia, agendo come un partito politico non eletto, ottengono benefici immensi. Soprattutto, trattandosi di forze armate, incutono timore e ‘invitano’ indirettamente la popolazione a non ribellarsi. Bolsonaro, poco competente e circondato di persone influenti che tendono a confonderlo, tende a non fidarsi di nessuno. Per questo si affida ai militari per gestire cose che non capisce e, così facendo, contiene pure il dissenso.
Nell’analisi, tuttavia, manca un’anima sfuggente. Quella dei ‘mercati’ e dell’economia transazionale. Un’ala rappresentata dal ministro dell’Economia, Chicago boy, Paulo Guedes, che porta avanti la ‘perfetta’ ricetta neoliberale perfettamente indentificata nel libro “The Shock Doctrine” di Naomi Klein. Un rischio che meriterebbe un’analisi a parte.