Donatella Mascia, Una Giulietta rossa, Albatros, Roma 2021
Genova, a dieci anni dalla fine della guerra. La città porta ancora i segni dei bombardamenti e vivi come ferite continuano ad essere nel ricordo degli abitanti i crateri lasciati dalle bombe e i cumuli di macerie, ma la vita riprende, sia pure tra strascichi di miseria, con indomabile caparbietà. In tutti c’è la voglia di dimenticare e di guardare avanti, in un fervore di ricostruzione, non solo edilizia, che immancabilmente attizza anche le ambizioni di speculatori e profittatori smaniosi di fare soldi costi quel che costi. La corruzione e la delinquenza trovano in questo clima occasioni propizie per disfrenarsi a danno bel bene comune contando sulla complicità di burocrati infedeli e di politici tanto vanagloriosi quanto insipienti. Su questo sfondo, in un assiduo andirivieni tra gli angusti e ventosi carruggi, il centro della città e la periferia, si snodano le vicende dell’ultimo romanzo di Donatella Mascia: un poliziesco sui generis, ricco di colpi di scena e folto di personaggi delineati con la consueta maestria.
Il racconto si sviluppa per tessere narrative, focalizzandosi ora su questo ora su quel personaggio e seguendo di volta in volta dei percorsi che non tardano a intrecciarsi tra loro dando via via luogo ad un arazzo unitario, quantunque mosso e variegato. E quando sembra che l’ordine perturbato sia sul punto di ricomporsi, alla fine, in un compatto e conchiuso disegno, ecco che l’Autrice si compiace di scompigliare l’equilibrio raggiunto, dischiudendo nuove prospettive al racconto, che rimane in tal modo aperto. All’immaginazione del lettore viene lasciato il compito di protrarlo ad libitum. Questa soluzione, senz’altro divertita e a suo modo geniale, comporta una duplice rottura dell’unità di luogo, in quanto da Genova, fin allora scenario indiscusso delle vicende, l’azione si sposta dapprima in Sardegna e quindi, a sorpresa, nel lontano Venezuela. Se l’isola mediterranea diventa la meta verso cui converge, in una diaspora solo apparente, buona parte dei personaggi, pronti ognuno a replicare colà la sua parte in commedia, dal Paese sudamericano viene l’avvisaglia di un’ulteriore complicazione. Là è infatti approdata la Giulietta rossa che, oltre ad essere uno status symbol, con le sue intermittenti apparizioni ha, per così dire, monitorato le mosse di Tito Riccio, l’impresario corruttore di cui può ritenersi l’emblema. Almeno fino alla sua scomparsa.
Già, perché Tito Riccio, ad un certo punto, esce di scena, per riapparire più tardi sotto le mentite spoglie di certo Mattia Pascale. Qui l’estro bizzarro dell’Autrice si manifesta al suo grado più alto e, se ce ne fosse ancora bisogno, dimostra che alla base della sua scrittura c’è anzitutto il divertimento o, meglio, il piacere di sbrigliare la fantasia, di giocare con i fantasmi dell’immaginario, con insistite strizzate d’occhio al lettore, di cui sollecita argutamente la complicità. Di qui i frequenti rinvii intertestuali, non solo letterari: basti pensare a certe gags che vedono protagonisti, in particolare, le forze dell’ordine, ma anche i “picciotti” della mala, oppure ai pettegolezzi d’ufficio, alle schermaglie coniugali tra il maresciallo Eraldo Ceralacca e la moglie Giulia… E chi non ha memoria di battute come: «È lui, non è lui? Ma certo che è lui»? Ma, al di là di questi spunti comici, spicca la patente parodia del romanzo pirandelliano Il fu Mattia Pascal: parodia che non si limita alla ripresa onomastica, ma si spinge più in là, fino alla visita del redivivo alla sua tomba. Perché, parafrasando Pavese, una tomba ci vuole! Per lasciare traccia di sé, se non proprio per «passare alla storia», che è già più difficile, giacché, per riuscirvi, «si dev’essere maledettamente cattivi o terribilmente buoni».
Ora, non è nelle corde di Donatella misurarsi con personaggi di quel calibro. Ella non ha familiarità con gli eroi del bene o del male. Il suo mondo è fatto di uomini e di donne che non hanno nulla di eccezionale, anche quando non siano privi di qualità (e di difetti). Per questo, anche moralmente parlando, privilegia una dimensione media e, se qualcuno pare eccedere, in un senso o nell’altro, sembra più che altro un personaggio di cartapesta, uno stereotipo da commedia, sia esso il “mafioso”Bonanno o il politico ambizioso. Lo stesso Riccio, nel suo cinismo scostante, non sa essere un malvagio senza scrupoli quale ambirebbe: il suo stesso affarismo sfrenato, la sua ansia di emergere e di affermarsi a livello sociale senza guardare in faccia a nessuno nascono, a quanto sembra di capire, da un desiderio di rivalsa sociale che ha radici nella sua orfanezza. Oltre tutto rimane maldestramente impigliato nelle losche trame da lui stesso attivate ed è inconsciamente indotto a compiere atti di generosità di cui è poi il primo a meravigliarsi.
Tra i tanti personaggi del romanzo, si distingue l’ingegnere capo Arnoldo Figura, onesto e competente, ma travolto da un dramma familiare dal quale fatica a riprendersi. Sarà comunque lui a rimediare ai guasti di un suo dipendente, il geometra Punta, un personaggio per certi versi fantozziano che non ha alcuna remora a manomettere, per ragioni di lucro, il tracciato della Pedemontana in combutta con Tito Riccio. Pagherà tutto questo con la galera e con altre sofferenze che non varranno, però, a redimerlo: una volta tornato in libertà, ricomincerà altrove il suo sporco gioco. Tanto è patetico, nella sua dignità prima conculcata e poi, con generale soddisfazione, riconquistata il Figura, quanto viscido e vile il suo sottoposto. Intorno a loro ruota il personale dell’ufficio edilizio, comunemente detto «festività» per la presenza di due tecnici di nome, l’uno, Natale e di cognome, l’altro, Pasqua. Donatella è molto brava a rendere l’atmosfera un po’ pettegola degli ambienti burocratici, tra segretarie avvizzite nell’anonimato e cameratismi di circostanza, così come a cogliere l’arroganza volgare di chi esercita il potere e fa del turpiloquio un ordinario strumento d’intimidazione. Che dire, poi, del direttore di banca che quatto quatto intasca una mazzetta dimenticata nella fretta dal Riccio? Tra le persone semplici si annida invece il meglio della società, sia esso rappresentato da umili ma laboriose maestranze, da contadini emarginati o da donne che si arrabattano per tirare a campare alla meno peggio. Sono, queste, figurine di contorno, mai idealizzate e tuttavia genuine nella loro umana schiettezza.
Abbiamo detto che il romanzo ha qualcosa del poliziesco, ma con dei precisi distinguo. Intanto perché l’umorismo prevale nettamente sugli effetti di thriller e di suspense, che pure non mancano. Poi perché intrallazzi, violenza e sotterfugi non pervengono mai ad esiti estremi. Nessun morto ci scappa, se non per mera messinscena. Per di più il cerchio non si chiude, alla fine, se non per riaprirsi daccapo. E soprattutto viene qui trasgredita una delle regole fissate da Van Dine: quella del detective unico (e dilettante). Nel nostro romanzo i detective sono tre: il pensionato Amedeo Sanguineti, che soffre d’insonnia e nel suo notturno girovagare per la città in compagnia del fedele cane Uto ha casualmente modo di assistere al furtivo armeggiare di loschi personaggi; il maresciallo Eraldo Ceralacca, che non è certo un genio d’intuizione e d’intraprendenza; e sua moglie Giulia, che dimostra, per contro, fiuto e perspicacia da vendere. La soluzione del caso è frutto quindi di una sinergia. Né va trascurato il cane Uto, che, al pari di altri animali incontrati nei precedenti romanzi e racconti di Donatella, è più avveduto del padrone, a cui è sì fedele, ma non lesina, tra sé e sé, rimproveri e rilievi. È un cane pensante, che saluta, medita, sospira e a suo modo – spesso per mezzo di semplici onomatopee – risponde a chi lo interpella. A lui è spesso riservato il discorso indiretto libero che ne esplicita pensieri ed emozioni; a lui spetta il merito di salvare da un incendio la segretaria Luisella, la quale troverà infine rimedio alla sua grigia solitudine accompagnandosi ad Amedeo: un happy end che non arriderà ad altri personaggi. Nemmeno a chi, beneficato da Tito Riccio, dovrà temerne il ritorno.
1 commento
Lo sto leggendo sul Kindle, molto interessante, mi riporta agli della mia giovinezza, è il terzo libro di Donatella che leggo, tutti belli.