Luna piena di Maggio. Grande, immensa Luna dei fiori, come la chiamavano i popoli, o meglio le Nazioni del Nord di quella che oggi siamo usi dire America. Prima che avesse questo nome. E prima che un genovese, che aveva letto Marco Polo non sbagliasse rotta. Dando inizio al più grande, e sottaciuto, genocidio della storia umana. Genocidio fisico, ché si parla di molte decine, forse cento milioni di individui. E genocidio culturale, perché di quelle tradizioni è restato ben poco. Racconti orali, trascritti dai conquistatore. Spesso, facilmente, travisati.
Un, altro, continente senza storia. Per usare la definizione che Hegel diede dell’Africa. Perché la Storia è solo quella scritta. Preferibilmente dall’uomo bianco. Che sia europeo o arabo poco conta. Poi, naturalmente, c’è la millenaria tradizione delle storie cinesi. La Cronaca di Primavera e Autunni. Uno dei grandi classici. Un capolavoro. E questo non lo si può ignorare.
Ma gli altri, tutti gli altri, semplicemente, non esistono. Peggio ancora. Non sono mai esistiti. E il ridicolo politically correct di questi ultimi anni, ha solo il sapore di una, squallida, beffa….
Eppure erano popoli che avevano grandi culture. Quelli del Nord America – e mi dà fastidio chiamarli così, ma devo pure farmi capire – avevano un particolare senso per la natura. Un profondo senso poetico.
E così ogni Luna piena, come ogni Luna nuova aveva un nome. Che evocava il rapporto con la vegetazione, gli animali… Con ciò da cui dipendeva la vita. Perché, in fondo, la Luna è la Grande Madre. È da lei che dipende lo scorrere del tempo, e le trasformazioni. Lo sapevano bene gli antichi, che fondavano sulla Luna, e non sul Sole soltanto, i loro calendari. Perché quello solare è un’astrazione matematica. Quello Lunare è vita, realtà naturale…
Poetici i nomi delle Lune. Questa è la Luna dei fiori. Perché Maggio profuma di fiori. Il Maggio odoroso del nostro Leopardi.. Uno che amava guardare la Luna. E parlarle.
Un innamorato della Luna. Che quando giunge al suo culmine, splende con un’intensità sempre uguale, eppure sempre diversa. Diverse sfumature di luce. Quella di stanotte sembra, addirittura, emanare una luce calda. Una luce e un calore quasi estivi. E sembra davvero che questa luce profumi di mille fiori diversi…
I poeti hanno sempre amato la Luna. Forse perché, oscuramente, intuivano che era il volto della Dea. Una Dea dai molti nomi, e dai molti volti. Per restare nel cosmo del mito greco – e senza addentrarmi a parlare di Iside o di Ishtar – la Luna è Artemide, Diana, per i latini. Ma è anche Afrodite, ovvero Venere. Un gioco di maschere, come nell’Adone del Marino. Come nei capolavori del Botticelli. La castità e l’eros senza limiti. L’irraggiungibile. Sempre e comunque. Alla fine…il mistero.
Marino, Botticelli, Leopardi…Manca solo che parli di Laforgue, e del suo Pierrot innamorato della Luna. E avrò ripetuto, una volta, ancora, tutto, o buona parte del repertorio…
Già… mi ripeto. Ma è inevitabile. Questa Luna è sempre Lei. Anche se muta di continuo.
E poi stanotte è rossa. Una Luna di Sangue. Perché vi è un’eclisse. E la Luna assume un colore vermiglio cupo.
Dicono che il principe di Condè avesse visto una grande luna rossa nel cielo. La notte prima di morire. E per altro, le eclissi lunari sono sempre state avvolte da un alone di paura. Perché è il momento in cui la Dea mostra il suo volto oscuro. Infero. L’Artemide Ecate, la Venere Libitina. L’associazione canonica tra Eros e Thanatos, che ispira tanti lirici greci e, ancor di più, gli elegiaci romani, deriva proprio da questo duplice volto della Luna.
Io, però, non leggo questa grande Luna Rossa di Maggio come un presagio di sventura.
Sarà la stanca insonnia, saranno i ricordi che sempre ti assalgono nella notte…saranno tante cose. Ma questo alone rosso, mi fa pensare alla fioritura di un enorme, immenso, roseto.
Alla Luna dei fiori, appunto.