La Notte di Ognissanti, l’antica ricorrenza celtica di Samahin -ma chiamatela pure Halloween se preferite – ha aperto la porta sulla stagione magica dell’anno. Magica per eccellenza e da sempre. Quello che la Chiesa chiama “Tempo dell’Avvento”, per distinguerlo dal Tempo ordinario.
È Tempo festivo. Nel quale, secondo tradizione, le barriere che, ordinariamente, dividono i Vivi dai Morti, il mondo delle cose materiali da quello, magico, dell’immaginazione, vengono a cadere. E allora tutto, proprio tutto, può davvero succedere.
Da questo momento dell’Anno – che non è, solo, l’anno del calendario così come siamo usi pensarlo – il mondo si popola di presenze fantastiche. Che sono sempre, ma in una dimensione separata. Mentre ora è come se due mondi, due universi paralleli, venissero a coincidere. Confondendosi. In un certo senso proprio quello che sosteneva Charles Williams, di cui ieri parlavo. Il magico imminente alla realtà delle cose. Ovvero… L’Arcinaturale.
Esseri fantastici, dicevo. E, tra questi, gli animali leggendari. O immaginari che dir si voglia. Quelli che appaiono negli antichi Bestiari medioevali. Soprattutto in quelli dedicati ai “portenta”. Gli animali immaginari, come il, famoso per le sue splendide illustrazioni, “Liber Monstruorom” , scritto nell’Inghilterra della metà del secolo VIII, probabilmente nella cerchia di Aldelmo di Malmesbury. Che Beda il Venerabile, nella sua Historia Gentis Anglorum, considera il primo grande dotto (ed erudito) anglosassone. E questo, detto da Beda, era uno dei massimi elogi. Perché allora essere eruditi era un merito. Non vi era, come oggi, l’orgoglio dell’ignoranza.
Quei Bestiari, per altro, erano molto amati da J. L. Borges. Che vi si ispirò per il suo, incantevole, “Manuale di zoologia fantastica”.
È in notti come questa – un inizio di novembre con la neve già sulle cime più prossime e il vento gelido che soffia nei vicoli – che mi viene da pensare come, nei boschi che ci circondano, si aggirino tali animali immaginari.
Forse qualche cane ceruleo… forse un Ippogrifo che si prepara al volo verso la Luna. Forse galoppa nel fitto un, iroso, Centauro.
O, forse, in una radura illuminata dalla Luna, pascola tranquillo un Unicorno.
Di tutti gli animali immaginari, l’Unicorno è quello che spicca per bellezza ed eleganza. E che trasmette una forte emozione spirituale. O, almeno, così dicono le leggende. Perché nei Bestiari viene ad essere allegoria della Purezza. Tanto che solo una Vergine lo può avvicinare. E domare.
Per questo il suo manto è candido, al punto di confondersi con la neve. E il suo unico corno brilla come la Stella del Mattino. Venere.
Nelle tradizioni cortesi, appare sempre associato alla figura femminile. O meglio, alla Donna. E il suo correre, indomabile, o addirittura volare con la criniera al vento, è rappresentazione dell’animo femminile. E, per ovvio traslato, dell’Amore. Perché solo davanti ad un amore puro, la Vergine, l’Unicorno si ferma. E trova la quiete.
Allegorie….vana erudizione che giunge dai recessi del Medioevo. Quella che i moderni Fedeli della Scienza – quelli che seguivano ciecamente le indicazioni di Burioni e le circolari di Speranza – considerano “età oscura”. E che, invece, sapeva che vi sono molte più cose fra terra e cielo….ma questo è Shakespeare. Che credeva a maghi e fate e folletti…e che non si sarebbe meravigliato poi tanto incontrando, durante una passeggiata in campagna, un Unicorno.
Soprattutto in una notte come questa. Tra questi boschi incantati. E in questa stagione fredda, che comincia a splendere di nuove luci…