Era il Maggio odoroso… la Silvia leopardiana, l’immagine della giovinezza fugace. Di sogni, delle fantasticherie che si accompagnano a quella che, non so quanto appropriatamente, viene definita l’età più bella. E che il poeta collega al mese finale, e culminante, della Primavera. E che apre l’estate. Il mese in cui fioriscono le rose… E qui gli echi di lontani Sanremo – quando non era ancora ridotto a (brutta) caricatura del Circo Barnum – si potrebbero richiamare a josa…
E il profumo delle fioriture si diffonde, in un’aria finalmente calda, e scintillante. Non rose soltanto. Glicine, dai fiori tra l’azzurro e il viola brillante. L’iris. Il giacinto. L’anemone. Senza dimenticare l’inquietante bellezza del siliquastro. L’albero di Giuda…
Leopardi era diverso da Pascoli. Per lui, il Maggio, si identificava con le rose. Punto e basta. Il cantore di Myricae enumera e descrive con precisione da botanico – o, come lui stesso dice, da figlio di contadini – tutte le piante di stagione. Ci fa vedere i loro colori. Sentire, nelle nari, il loro profumo.
Però il simbolo di maggio è, e resta, la Rosa. Il fiore più bello. Forse anche perché la sua fioritura è effimera. Un lampo di bellezza, quasi inafferrabile. Come il piacere. Come l’attimo del tempo fuggente…
Quello che rappresenta il Leopardi, nell’immagine di Silvia, contenta del vago avvenire che aveva in mente…
Mesto, nella sua bellezza struggente, quel Maggio evocato nella lirica. Più una nostalgia che una realtà. Qualcosa di remoto. Di ormai irraggiungibile…
“Ben venga Maggio…” tutt’altra cosa il Poliziano. Il suo Maggio è un’esplosione di sensazioni, colori, suoni. Emozioni. È, dal punto di vista formale, una ballata. E lo è anche nella sostanza. Una danza, elegante, raffinata… Non per questo meno sfrenata, allegra e… oserei dire sensuale.
Inevitabile che evochi l’immagine, celeberrima, della Primavera di Botticelli. Che dell’Agnolo da Monte Pulciano era amico. E col quale condivideva gusti e immaginario. Un ideale di Donna, che nella Primavera si incarna – ed è termine quanto mai appropriato, perché proprio di un’incarnazione si tratta – nelle Tre Grazie. E nella figura di Flora. La Ninfa sfuggente e stupenda delle Stanze per la giostra. Simonetta, la Donna più bella del secolo. Amata da Giuliano. E, a quanto narrano, anche da quel raffinato esteta che era Lorenzo de’ Medici.
La stessa esplosione di vita, la stessa sensualità estatica, che ritorna nelle, frammentarie, Grazie del Foscolo. Nella parte, soprattutto, vergata nei giorni a Bellosguardo. Contemplando le colline intorno a Firenze. L’armonia del paesaggio. E quella, ancora più intensa e coinvolgente, delle Donne che impegnavano, e allietavano, la solitudine del poeta.Tre Donne, forse quattro dicono i biografi. I nomi contano poco. Ciò che conta è la perfezione della poesia che ispirarono. Difficile da cogliere a tutta prima. Apparentemente fredda, ma solo perché di esatta misura. Di straordinario equilibrio. Di una sensualità elegante che diviene magia.
Foscolo esprime perfettamente lo spirito della Primavera. Del Maggio. Come lo fanno certi quadri dei Preraffaeliti. E soprattutto di Waterhouse. Guardate The Soul of the Rose. In Quella Donna, dai capelli oro rosso, che annusa con delicatezza una rosa rampicante appena sbocciata, vi è una sensualità indescrivibile. E la risposta, forse, a un mistero.
È, forse, il mistero che si cela nel Maggio. Eco di riti antichi. Di antiche divinità femminili che ancora venivano invocate, in modo inconscio, nelle litanie del Mese Mariano. Ed in altro modo nelle danze e nelle feste delle Maggiolate, un tempo in uso un po’ in tutta la nostra Penisola.
Sacro e profano. In realtà, sempre e comunque sacro. Perché corpo e spirito non possono venire disgiunti. Mai.
Maggio. Calendimaggio… E ora vi aspettereste, forse, che mi affacciassi alla finestra. Guardassi il triste paesaggio umano della città. E dicessi… Ma no. Meglio chiudere qui. Pensando alle Donne di Watherahause. Alle danze cantate da Poliziano.