La proposta che il governo ha fatto ai presidenti di Regione, riuniti in videoconferenza, insieme a Comuni (Anci) e Province (Upi), è quella di creare un Covid hotel per ogni provincia italiana. Alla riunione con gli enti locali hanno partecipato, tra gli altri, il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, lo stesso Arcuri e il capo della protezione civile Angelo Borrelli.
Il piano con buona probabilità sarà affidato al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, prevede che gli indennizzi ai proprietari delle strutture alberghiere siano a carico dello Stato, mentre il personale dovrebbe essere predisposto dalle Regioni.
L’obiettivo è quello di creare una rete di “alberghi assistiti” che offrano supporto socio-sanitario agli ultra65enni positivi al Covid-19 ma asintomatici o paucisintomatici, e camere d’albergo per pazienti dimessi dagli ospedali ma ancora positivi, che non necessitano di supporto sanitario ma non possono stare a casa.
Un “albergo assistito” dovrà garantire: un minimo di 20 camere provviste di bagno all’interno, il servizio di colazione, pranzo e cena, il cambio e la sanificazione della biancheria al massimo ogni tre giorni, 2 operatori socio-sanitari ogni 20 ospiti, un infermiere professionale che effettua 3 passaggi diurni di due ore per 20 ospiti, la reperibilità infermieristica h24. La fornitura dei dispositivi di protezione individuale sarà a carico del gestore, mentre il supporto sanitario sarà fornito dai medici di medicina generale o delle Usca. Le aziende sanitarie potranno procedere a stipulare i contratti sulla base dei rispettivi fabbisogni e di tariffe ritenute congrue in relazione ai servizi richiesti.
In Piemonte l’Assessore regionale alla Sanità, Luigi Genesio Icardi, chiarisce che si è decisa questa soluzione perché “un numero considerevole di ricoveri in ospedale riguarda persone autosufficienti o parzialmente autosufficienti positive al Covid-19 asintomatiche o paucisintomatiche che, pur non necessitando di un livello di cure di tipo ospedaliero, vengono ricoverate per la difficoltà di mantenere una condizione di isolamento o per l’assenza di una rete sociale valida. In questo modo possiamo offrire l’assistenza necessaria a questo tipo di pazienti e al contempo liberare posti letto per gli altri ammalati”.
Probabilmente i COVID hotel rappresentano un altro fallimento legato all’emergenza, perché predisposti con troppo ritardo. Finora si è fatto troppo poco per garantire a chi non necessita di cure un alloggio alternativo all’abitazione. Sulla carta, ad aprile c’erano 43mila posti, oggi le strutture alberghiere convenzionate si contano sulle dita di una mano perfino nelle zone rosse. I bandi regionali per trovarne altre sono ripartiti solo nelle ultime due settimane e spesso vanno deserti.
L’infettivoligo Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, sostiene che : “Con questi numeri il problema di dove mettere i dimessi deve essere affrontato e risolto una volta per tutte”. I COVID hotel in passato erano stati individuati come soluzione per isolare i positivi asintomatici e i dimessi che non necessitano di ulteriori cure in luoghi diversi dall’ospedale e dalla propria abitazione, così da impedire che facessero correre il contagio tra le mura di casa, infettando i propri familiari, o che congestionassero i reparti, a discapito dei casi più gravi. Solo adesso, in tutta Italia, è scattata la corsa contro il tempo a reclutare alberghi.
Il Comitato tecnico scientifico (Cts), sostiene che il problema è sempre lo stesso: “Le diverse strategie delle Regioni su nodi centrali come i covid hotel e i drive-in, dimostrano che serve una gestione centralizzata”. Le Regioni pur avendo ricevuto oltre 5 miliardi da spendere, non avevano attuato alcun piano. Il Governo forse già in passato avrebbe dovuto stilare un “piano nazionale” dei covid-hotel che stimasse il fabbisogno di ogni regione. Adesso senza attendibili contact tracing, l’App Immuni si è rivelata un disastro, sembrerebbe un provvedimento avviato con troppo ritardo rispetto alla seconda ondata dell’epidemia.