Oggi intervistiamo Paolo Manera, dal 2015 Direttore della Film Commission Torino Piemonte.
Manera è musicista, critico cinematografico, organizzatore e da sempre figura chiave nel mondo del cinema a Torino e non solo.
Pensi che l’affermarsi delle piattaforme di streaming sia un bene o un male per il Cinema?
Un bene, oltre che essere un fatto storico inevitabile, con cui non ci si può non confrontare. Come tutti i grandi cambiamenti (perché è innegabile che abbia segnato un grande cambiamento) prevede dei rischi; come lo stabilirsi di un’eccessiva formatizzazione di temi, stereotipi, tendenze o ancora che alcuni soggetti più forti prendano una posizione dominante. Il rischio c’è, però, di sicuro, le piattaforme di streaming hanno dato un notevole stimolo a tutti, anche, paradossalmente, al pubblico e alle scelte per la sala cinematografica. Hanno portato il cinema a un pubblico più giovane, aperto a temi che sulla TV generalista non avevano visibilità. Hanno accelerato alcune tendenze, sviluppato tematiche controverse, che magari venivano affrontate solo nei festival, di solito poco frequentati dai giovani. Hanno inoltre stimolato la visione dei film in lingua originale, la visione di documentari o, semplicemente, hanno permesso a qualcuno che non aveva un cinema nel proprio paese di guardarsi un bel film. Quindi considerato che, come premesso, si tratta di un fenomeno che non possiamo fermare, chi fa cinema deve mantenere un dialogo con queste piattaforme, in modo da ottenere una pluralità di contenuti e contrastare i possibili effetti di massificazione.
Film vs Series, la tua posizione?
Ci sono alcune cose che hanno un senso in una dimensione seriale, altre no. Credo che debbano esistere entrambe, perchè hanno una loro vita e una diversità specifica. Da un punto di vista narrativo, ma anche produttivo, sono due realtà diverse, per certi versi complementari.
C’è tutto un mondo di registi, sceneggiatori, attori, produttori, direttori della fotografia che adesso lavorano indistintamente sull’una e l’altra realtà. Di sicuro la qualità e l’internazionalità delle serie, anche italiane, negli ultimi anni si è alzata tantissimo.
Una volta si diceva che in Italia un bel film, anche a basso budget, magari riuscivi a produrlo, il problema era distribuirlo nelle sale; ricordo quando sono andato alla prima de “Il vento fa il suo giro”, ero a Milano e la sala era piena di colleghi, come me curiosi di capire i meccanismi di un sistema alternativo ai soliti canali della distribuzione/promozione. Le cose sono cambiate?
Sì, nel senso che quel modello distributivo, quello de “Il vento fa il suo giro”, parliamo di 15 anni fa più o meno, in questi anni è diventato costante e frequente. Sono tanti i progetti che hanno fatto l’esperienza di una distribuzione alternativa, in cui un film fa un vero e proprio tour con il pubblico che va a vedere il film, ma confida di fruire dell’incontro con il regista, di avere un momento di confronto, di racconto, di dibattito: una sorta di distribuzione partecipata. Paradossalmente anche i canali classici di distribuzione si sono dovuti adeguare. Si salvano ancora solo i grandi film americani, ma la sala oggi per sopravvivere deve un po’ tornare ad essere quello che era una volta, cioè non solo uno spazio dove vedere un film, ma un luogo che ha una sua identità, un luogo dove si va a passare del tempo incontrando delle altre persone.
Si sa che l’Italia è un paese pieno di città stupende, quindi se ti chiedo il motivo del successo della Film Commission Torino rispetto alle altre, non potrai rispondermi che avete tante bellissime location e che alla città manca giusto il mare se no avrebbe tutto, dagli edifici storici a quelli iper moderni, le colline e il fiume… qual è quindi il vero segreto del vostro successo?
Le persone. Le persone e la qualità del loro lavoro. Tutto quello che hai detto è vero, ed è un asset strategico importante. Torino è talmente ricca e stratificata che può sembrare tante diverse città: Roma, Parigi, San Pietroburgo. Nel corso degli anni ha dimostrato grande flessibilità dal punto di vista scenografico. Venire a girare a Torino vuol dire trovare una Cinecittà a cielo aperto, fatta di luoghi e di professionisti qualificati capaci di lavorare anche su grandi produzioni internazionali, come recentemente per Fast and Furious, dove c’erano più di cento professionisti coinvolti. Quello che fa la differenza è la capacità di accogliere qualsiasi progetto e anche di avere qualcuno capace di fare un film dall’inizio alla fine.
La regione e la città di Torino, insieme a tante altre società in tutto il Piemonte, con cui abbiamo stabilito degli accordi, vedono il cinema come una realtà culturale e industriale; in prospettiva anche di promozione turistica, che era la sua originaria vocazione. La Film Commission Torino Piemonte è diventata negli anni una vera e propria agenzia di sviluppo imprenditoriale: 181 società di produzione, 235 strutture di servizio, 922 professionisti, 276 attori professionisti. Capisci che se dovessimo aggiungere anche tutte le persone che fanno le comparse arriveremmo a numeri di migliaia di persone che lavorano in questo ambito.
Una domanda un po’ provocatoria:
un tuo carissimo amico ha un figlio che ha studiato a Torino per lavorare nel cinema, ti chiede di consigliarlo: per fare carriera, meglio andare in un’altra città (magari Roma) o addirittura all’estero, o rimanere nella propria città?
Guarda, in questo momento tocca a lui scegliere. Può rimanere in questa città. Ovviamente il tipo di esperienza sarà diverso. Lavorare a Roma, a Los Angeles o Londra non è la stessa cosa che lavorare a Torino, ma adesso l’opzione di lavorare a Torino c’è, facendo un percorso che evidentemente è differente. Ci sono persone che si sono trasferite qui per lavorare nel cinema. Questa del cinema è una realtà che diventa fattibile nel momento in cui uno ha una visione internazionale. Quindi il mio consiglio sarebbe: resta pure qui a lavorare,Torino ha una qualità della vita veramente alta, ma continua a proporti e a cercare occasioni di lavoro anche al di fuori della tua città.