Il copione non è certo originale. Anzi, come dice la parola, è la ripetizione di una sceneggiata che sotto elezioni abbiamo già visto andare in scena con una certa regolarità. Mentre, per quanto riguarda gli interpreti e la regia, dopo l’iperattività giudiziaria scatenata contro Silvio Berlusconi quando era l’uomo più potente d’Italia sarà molto difficile che altre “combine” tra magistratura, informazione e politica prima del voto possano raggiungere lo stesso effetto scenico.
Fatta tale premessa, però, è chiaro che anche contro la destra in questa vigilia amministrativa è stato mosso tutto il possibile per inquinare la serenità del vuoto. Usiamo il termine “destra” non a caso, perché il bersaglio di queste manovre non è l’alleanza di centro-destra, tutt’altro: il disegno molto chiaro è quello di fare fuori Fratelli d’Italia, di spingere la Lega sulla linea di Giancarlo Giorgetti e di salvaguardare le residue frattaglie di Forza Italia, così da portare la parte centrista verso una grande alleanza moderata-progressista.
In poche parole, un “Draghi 2”, chiunque sia il premier designato a guidarlo, nella consapevolezza che alle prossime politiche questa sarà l’unica soluzione praticabile, poiché gli elettori si sparpaglieranno in maniera tale da non consentire la formazione di un governo di coalizione troppo stretta. Ci troveremo un po’ nella situazione tedesca, insomma, ma anche di quella che emerge da molte altre competizioni a livello europeo e internazionale. Questo però è un altro discorso, peraltro molto interessante e importante, cioè come mai non si vada verso una riforma delle democrazie che consenta di far uscire dalle elezioni dei governi di indirizzo preciso.
Torniamo invece all’argomento di oggi, è cioè alle diverse frecce avvelenate che sono state scagliate contro la destra. Le principali sono tre, molto diverse tra di loro. Per quanto riguarda la storia del collaboratore di Matteo Salvini invischiato in un giro di droga ed escort, siamo all’ennesima replica di una situazione nota: i vizi privati di un personaggio direttamente o indirettamente pubblico usati – in modo protestante, calvinista, comunque non cattolico né liberale – come se fossero prova di una colpa della quale si debba rendere conto in senso politico e non soltanto morale o eventualmente giudiziario. Peraltro, il sospetto che contro il brillante “social media manager” sia stato orchestrato un complotto ricattatorio è più che fondato. In questo caso non si possono rimproverare a Salvini o alla Lega delle colpe specifiche, anche se una selezione più accurata dei collaboratori sarebbe necessaria, poiché è comprensibile che quando se ne trova uno così abile lo si arruoli senza farsi troppi scrupoli.
Una seconda questione, cioè il mancato incontro milanese tra Salvini e Meloni, è poi palesemente artefatta. Segue infatti gli abbracci che i due si erano già scambiati di recente e precede quelli che si sono poi rinnovati nell’appuntamento finale della campagna elettorale a Roma. Che Giorgia e Matteo non si vogliano davvero bene e che il loro sia un “affetto affettato” per mere ragioni politiche lo sappiamo quasi tutti, ma questo non conta nulla e trasformare un oggettivo problema logistico che impedisce l’incontro in una manifestazione plateale di dissenso politico – peraltro suicida, se tale fosse davvero stata – è una strumentalizzazione da quattro soldi, degna del giornalismo e della politica dei giorni nostri, che più di tanto non valgono.
Veniamo all’ultima è molto più delicata e sostanziale questione, quella che Repubblica titola “Dai neonazi ai soldi sporchi”, sgombrando subito il terreno da un aspetto davvero indegno, cioè che un giornalista assuma informazioni delicate sotto mentite spoglie, cioè quello che nemmeno a magistrati e forze dell’ordine è del tutto consentito, visto che l’acquisizione di prove nell’inconsapevolezza degli indagati o degli imputati è soggetta a norme rigidissime. Verso tale modo di fare, infrazione di una basilare deontologia, un buon Ordine dei giornalisti dovrebbe prendere provvedimenti e forse li dovrebbe prendere anche qualche magistrato. Detto questo e stabilito che le registrazioni acquisite contro l’esponente di Fratelli d’Italia, il capogruppo Fidanza, sono state frutto di un’azione non corretta, resta una sostanza che non può essere archiviata come “manovra”.
Dalle immagini che i telegiornali hanno trasmesso, traspaiono intenti volontà e comportamenti del tutto incompatibili con un ruolo politico o pubblico e di cui la magistratura farà bene a occuparsi con assoluta severità. Ma la cosa più importante sono quegli atteggiamenti che, anche laddove non costituissero oggetto di reato e quindi di azione penale o civile, sono anch’essi incompatibili con un ruolo pubblico e politico. Ci riferiamo ovviamente alla “goliardia” di certe battute, di certi slogan, di certi saluti. Sappiamo perfettamente che anche tra i potenziali lettori di questo articolo ce ne potrebbero essere alcuni che verso questo andazzo hanno comprensione e tolleranza, quando non addirittura condivisione, mentre chi scrive li considera frutto di un’immaturità inammissibile.
Ma qui il punto non è pensare che un saluto romano o una battuta sugli ebrei siano o non siano legittimi. La questione è chiedersi se si possa praticarli e nello stesso tempo volere fare politica in un consesso – discutibile quanto si vuole, ma che tale è – come le democrazie liberali parlamentari occidentali, in cui l’Italia si inserisce. Il parere di chi scrive è che non lo sono, che sono anzi agli antipodi e che, quindi, si dovrebbe decidere se stare nella protesta nostalgica oppure nell’opposizione politica. Che sono due categorie completamente diverse.