Mentre l’Italia si prodiga a festeggiare la giornata mondiale del riciclo, un nuovo pericolo ambientale si scorge all’orizzonte: le mascherine. Un oggetto inserito nel paniere dei beni fondamentali alla sopravvivenza, da prima introvabile e poi sempre più abusato. Ad oggi non ne possiamo fare a meno. Ma vi siete mai chiesti che fine faranno questi ordigni di plastica pronti ad esplodere?
Di che cosa sono fatte le mascherine?
La risposta è facile da immaginare: nulla di riciclabile! Certo, stiamo parlando delle mascherine chirurgiche e delle tanto agognate FFP2, che per lungo tempo gli esperti ci hanno consigliato di indossare poiché in grado di conferire maggiore protezione dal Covid-19 e dagli agenti esterni in generale. Ci siamo preoccupati per gli strati delle mascherine, che dovevano essere almeno 3. Per poi arrivare a buttarle per strada come mozziconi di sigaretta.

Purtroppo, però, le mascherine sono formate da due o tre strati di tessuto non tessuto costituito da fibre di poliestere e polipropilene. Generalmente, lo strato esterno idrofobo è formato da un tessuto non tessuto chiamato spun bond, anche utilizzato nella produzione industriale automobilistica. Lo strato interno, invece, è formato da Tnt con funzione filtrante, altrimenti detto melt blown. Infine, il terzo strato -se presente- è formato dello stesso materiale del primo, proprio per proteggere la cute dallo strato filtrante. Ecco, come si può facilmente intuire, nessuno di questi materiali è riciclabile o biodegradabile.
Perchè Le mascherine sono un pericolo per l’ambiente
Nonostante in un primo momento le preoccupazioni generali si fossero concentrate sull’incrementare la produzione, ora come ora sarebbe giusto chiedersi: cosa ne faremo di queste mascherine una volta finita la pandemia?
L’allarme microplastiche
Studi recenti stimano che l’utilizzo mondiale delle mascherine si aggiri intorno ai 129 miliardi ogni mese, 3 milioni al minuto. L’allarme viene lanciato tramite un commento sulla rivista Frontiers of Environmental Science & Engeneering. Nel quale si spiega, appunto, che le mascherine usa e getta non sono altro che plastica destinata a frammentarsi in particelle ancora più piccole, definite micro o nanoplastiche. Queste ultime sarebbero il triplo più pericolose delle precedenti perché in grado di insinuarsi con estrema facilità negli ecosistemi.
Perché dovremmo preoccuparci delle particelle di plastica
Senza contare i danni inferti dall’uomo al nostro pianeta, gli studi più recenti si sono concentrati sulla produzione delle mascherine di nuova generazione, caratterizzate da particelle di plastica sempre più ridotte e in grado di disintegrarsi più facilmente. Conseguentemente, una volta liberate nell’ambiente sarebbero in grado di diffondersi più rapidamente, rispetto ad altri materiali.
Come smaltiremo le mascherine?
Ancora non lo sappiamo! Eh già, perché se per le bottiglie di plastica esistono delle linee guida che prevedono che il 25% venga riciclato, non si può dire altrettanto delle mascherine. Va ricordato che i detriti di plastica non solo sono particolarmente inquinanti, ma sono in grado di trattenere sostanze chimiche e biologiche nocive, tra cui bisfenolo A, metalli pesanti e microrganismi patogeni.
Le frontiere della scienza si stanno spingendo verso il superamento della plastica per la produzione di mascherine, riflettendo sulla possibilità di produrne di biodegradabili. O almeno si spera.
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