Dicono…. Il dicunt, o tradunt, o ferunt inventato dagli storici latini. Che era gente seria. E, quando non potevano citare fonti certe, la risolvevano così. Dicono… E tutto era a posto, perché mica sono io ad affermare o inventarmi la notizia, semplicemente…dicono, riportano, narrano…non ha importanza chi…la notizia c’è, viene riportata. Gira di bocca in bocca. E siccome Vox Populi…ma basta con il latino. Non è cosa. Anche se sto per parlare di Roma. Ma della Roma dei Papi, non di quella dei Cesari..
Dunque, dicono che lo si può incontrare. Dalle parti di Castel Sant’Angelo. In certe notti, soprattutto poco prima dell’alba. O anche in Piazza del Popolo. E che appaia sempre avvolto nel suo tabarro rosso cupo, col cappuccio rialzato a coprire el volto. Cammina lento, calmo. Rilassato. E, a volte, si ferma e ti offre una presa di tabacco dalla sua borsa di cuoio.. È gentile. Ma potrebbe non essere un buon segno. Meglio ringraziare, declinare. E andarsene veloci. Perché, dicono, quello è un fantasma. E non un fantasma comune. Sempre che vi siano fantasmi ordinari. Soprattutto a Roma, che di tali presenze, tutte eccezionali, è infestata un poco ovunque…
Comunque, quello è il fantasma di Mastro Titta. Del Boja di Roma.
Ora, Roma, la Roma papalina, di boja, o esecutori di giustizia, nella sua storia ne ha avuti molti. Che il Vaticano sulla pena di morte non ha mai condiviso le posizioni del Beccaria. Anche lui, per altro, non contrario a priori, come si tende a credere. Ma, da buon illuminista, portato a cercare di limitare uso ed abuso della pena capitale. E sopratutto ad evitare la tortura. Cosa che, invece, negli Stati della Chiesa si applicava. Senza tanta compassione. Infatti i condannati venivano, come dicono i testi dell’epoca, mazzolati prima, squartati poi. Solo ai più fortunati toccava la scure. E ci vollero i francesi e Napoleone per portare uno strumento di esecuzione più pietoso come la ghigliottina. Che poi restò in uso a Roma sino all’unità d’Italia. Anche perché, i Papi hanno mandato a morte più gente di tanti principi, re e duci…
Questo per dire che di Boja in carica ve ne sono stati tanti. Ma l’unico davvero famoso è lui: Mastro Titta, al secolo Giovanni Battista Bugatti. Che fu Boja per ben 68 anni. E si ritirò dopo aver servito molti Papi e, per un breve periodo, anche Napoleone. Perché un professionista è un professionista, e non fa questione di ideologie. Fa il suo mestiere. E basta. Per altro l’ottimo Bugatti, quando non decapitava, mazzolava e squartava, faceva l’ombrellaio. In una botteguccia di Trastevere. Perché il Boja era pagato a intervento. E con una media di sole (si fa per dire) sette condanne a morte in un anno, mica poteva campare la famiglia.
Ma questo è il Mastro Titta storico. Che, però, è diventato personaggio della tradizione popolare. Entrando nei sonetti del Belli. Fino ad arrivare, più di recente, nei film di Magni. Soprattutto ne “In nome del Papa Re”, quando taglia la capoccia, come si usa dire, ai due congiurati carbonari. Targhini e Montanari. Che furono fra gli ultimi di cui si prese cura prima del, meritato, riposo.
Tuttavia il Mastro Titta per eccellenza resta quello del Rugantino. Soprattutto l’edizione storica con un grande Montesano. Ed ha il volto da grosso rospo, saggio e bonario, dell’indimenticabile Aldo Fabrizi…
Beh, Aldo Fabrizi /Mastro Titta forse sarebbe simpatico da incontrare a notte fonda davanti a Santa Maria in Cosmedin. E da lui accetterei una presa di tabacco. O, preferibilmente, gli offrirei del mio. Anche perché, appunto, il buon Boja era uso offrirne ai condannati. Prima di cominciare il suo lavoro.
Comunque, due parole con quel fantasma ce le farei volentieri. Come con molti fantasmi, per altro… che sono conversatori molto più interessanti degli attuali viventi. Uno come Mastro Titta, che ha eseguito ben oltre 500 sentenze, deve essere stato, per forza di cose, testimone di tanta umanità. E di tanti caratteri che si svelano davvero proprio in quel momento. Quando finzioni e maschere non hanno più ragione d’essere.
E mi piacerebbe chiedergli che pensa degli uomini di oggi. Come la vede lui, ormai, questa città che fu sua per tanti anni.
Chissà cosa, e se, risponderebbe.
Facile che, uomo di poche parole, anche da fantasma scrollerebbe le spalle. E tornerebbe a passare il ponte. In direzione di Trastevere. Anche perché a Roma di un Boja per bene come lui, non ci sta più bisogno. Ci sono ben altri all’opera. E non ti offrono manco una presa di tabacco. Perché, dicono, nuoccia alla salute…