“L’éve a cour, ch’arréte pa i mitèn di bèrio y et arrevà/ la chen forse arréterà dan lé bra dou gran fret”…
L’acqua scorre, non arresta la sua corsa tra le pietre passerà/ la sua forza si fermerà solo tra le braccia del grande freddo..
Un passaggio, un breve passaggio del brano Fouà ou veladzo, Fuoco nel villaggio, contenuto nell’ultimo cd di Maura Susanna, cantautrice ed interprete valdostana. Un disco che come titolo ha il suo nome, più intimista rispetto a quelli che l’hanno preceduto ed ai tanti brani cantati e mai incisi. Gli anni sono volati, forse tante speranze sono state deluse. Ma un seme è stato gettato e si può cominciare a guardarsi indietro. Ad osservare ciò che resta, ciò che è davvero importante.
Con la voglia, ancora, di lottare per le proprie radici, per la propria lingua, il patois, che – al di là delle varianti locali – unisce un intero mondo delle Alpi Occidentali ma dilaga poi nell’intera Occitania sino a raggiungere la Catalogna. D’altronde Maura ha sempre guardato lontano. Oltre la Valle, oltre ogni confine. Ha duettato con Joan Baez, ha interpretato canzoni francesi, latinoamericane, italiane. Ed anche nel nuovo disco non manca un omaggio a Mercedes Sosa (spesso ripresa nei cd e nei concerti) con Mé demando a Guieu che è la versione in patois di Solo le pido a Dios di Leòn Gieco ma portata al successo appunto da Mercedes Sosa.
Dunque canzoni in patois, in francese, in italiano.
Splendida l’interpretazione di Un paese vuol dire, il brano di Mario Pogliotti composto come omaggio a Pavese. E Maura Susanna ricorda la migliore Milly nella riproposizione di un pezzo che diventa quanto mai attuale.
Prevale il senso della nostalgia, di una vita piena, ricca di incontri, di iniziative, di successi. Una vita piena. Ma c’è spazio anche per il divertissement con la riproposizione di Habanera di Bizet o con Amour…faux trot di Riccardo de Siena. E poi ancora il senso del tempo che scorre, di ciò che non è stato, di ciò che ancora può essere nel tempo che ti resta. Pura poesia: “Lascia la tua memoria che possa farla mia/ lasciamo la tua storia che possa averla mia”, scritta con Valeria Tron. E l’invito a prendersi il tempo, “quel tempo che oggi ci sembra di non avere, quel tempo per ridere e per piangere, il tempo per parlare e per ascoltare” (Lo Ten, testo in patois di Maura Susanna su una ballata irlandese).
Il tempo che passa, tuttavia, non scalfisce la lotta di tanti anni per la difesa della propria lingua, della propria cultura, delle proprie radici. E dunque, in questa sorta di percorso esistenziale non poteva mancare la riproposizione di Té raiss, le Tue radici, di Magui Bétemps. “Si lé-z-ombre dou dézespouer i té catson lo solei, Si lo net i veun pieu ner, Léva-tè, aréta-lò. Si lo soléi va sé coutsé apré lo net y é dza demàn. I veun lo net, fa pa dourmì, i veun lo net i fo lutté. I veun lo net, aréta-lò perqué demàn y é dza tro tar. I veun lo net, aréta-lò, y é dza tro tar, y é dza demàn”. Se le ombre della disperazione ti nascondono il sole, se la notte diventa più scura, alzati, fermala. Se il sole si nasconde dopo la notte, è già domani. Viene la notte, non bisogna dormire, arriva la notte e bisogna lottare. Arriva la notte, fermala perché domani sarà troppo tardi. Arriva la notte, fermala, è già troppo tardi, è già domani”