A gennaio del 1990 veniva inaugurato in Russia il primo McDonald’s in Piazza Pushkin, fu uno dei primi marchi occidentali. A causa della guerra in Ucraina il colosso americano ha deciso di chiudere temporaneamente 850 dei suoi punti vendita in Russia. Una scelta difficile per la società che, per le attività disseminate entro i confini della Russia e dell’Ucraina, fattura il 9% delle sue entrate annuali corrispondenti a circa 2 miliardi di dollari.
L’azienda sembra essere stata costretta a chiudere i punti vendita dopo l’hashtag #BoycottMcDonald e ha detto che continuerà a pagare i suoi 62.000 dipendenti in Russia “persone che hanno messo il loro cuore e la loro anima nel nostro marchio McDonald’s”, ma in una lettera aperta ai dipendenti il presidente e ceo di McDonald’s Chris Kempckinski ha dichiarato che la chiusura per ora è la soluzione giusta. “I nostri valori significano che non possiamo ignorare l’inutile sofferenza umana in Ucraina”.
McDonald’s ha anche momentaneamente chiuso 100 fast food in Ucraina e continua a pagare i dipendenti. Un altro grosso colpo all’economia russa che si aggiunge ai grandi marchi europei ed americani che hanno dichiarato di lasciare il paese, o smettere di investire. Netflix ha smesso di rendere disponibili i contenuti. Apple ha interrotto le vendite così come la Nike. Certamente si allunga la lista dei marchi più famosi e “potenti” del mondo che hanno deciso di unirsi alle sanzioni economiche attuate dai Paesi occidentali in Russia.
Anche Coca-Cola e Starbucks hanno deciso di sospendere le attività. Non sembrava possibile che le due aziende non prendessero una posizione ufficiale. Coca-Cola e Starbucks erano finite nel mirino dei social, che hanno alzato la loro personale pressione via web. È questione di tempo mancano solo KFC e Burger King, ma è probabile che anche loro prenderanno la stessa decisione. Per queste ultime però bisogna specificare che McDonald’s è proprietaria dell’84% delle sue sedi russe, mentre Kfc, Burger King e Pizza Hu, invece, sono perlopiù in franchising.
Il direttore del gruppo di controllo della trasparenza finanziaria, Gary Kalman, ha spiegato che “l’impatto finanziario non scuoterà il mercato o il prezzo delle azioni, ma penso che la minaccia reputazionale sia maggiore in termini di percezione delle persone”.