Ha ragione Giorgia Meloni quando sostiene che la sinistra italiana ha il terrore di perdere le elezioni non per ragioni ideologiche, bensì per la paura di perdere il potere di gestire la cultura regalando posti e denari agli amici ed agli amici degli amici. Però, considerando come si è mosso il centrodestra sino ad ora sul fronte culturale, ha torto la sinistra a preoccuparsi.
La futura presidenta del consiglio ironizza sul quotidiano svegliarsi di qualche cantante, attore, regista o artista per attaccare direttamente Meloni o per mettere in guardia contro il pericolo fascista, contro l’inevitabile scontro con l’Unione europea o per qualche idiozia analoga. E si chiede, la signora Pina della Garbatella, se è credibile che in Italia non ci siano artisti in qualsiasi settore che la pensino come il 50% degli italiani o anche solo come il 25%. “Hanno paura di esporsi e di perdere contratti e lavoro”.
Vero, probabilmente. Ma è strano che la leader di Fdi non si sia mai accorta del nulla cosmico realizzato in ambito culturale da tutti (con rarissime eccezioni) gli assessori regionali e comunali dell’intero centrodestra. È evidente che gli artisti eventualmente di area non si possano fidare di politici del centrodestra che, immancabilmente, continuano a finanziare ogni iniziativa messa in campo dal centrosinistra e dalla sinistra estrema. Ignorando, altrettanto immancabilmente, qualsiasi progetto presentato dagli esponenti culturali di destra o comunque non schierati sul fronte opposto.
Davvero geniale. E non sempre, anzi quasi mai, gli artisti finanziati sono migliori di quelli esclusi. Godono solo di una visibilità migliore, assicurata dal “Soccorso Rosso culturale”. Mentre gli artisti scomodi vengono massacrati dai media per qualsiasi sciocchezza senza che, da destra, si alzi una voce in loro difesa.
Diventa dunque difficile credere a Meloni quando assicura che dopo il 25 settembre tutto cambierà e verrà premiato il merito invece che l’appartenenza politica. Anche perché l’attenzione nei confronti della cultura continua ad essere scarsa. Quando, dal palco di Torino, Meloni racconta un divertente aneddoto (purtroppo vero) sulle multe affibbiate ai pescivendoli che non espongono il cartello con i nomi dei pesci in latino, non può raccontare che il decreto risale al 1789 quando l’Italia non esisteva ancora mentre, in realtà, si tratta di un decreto europeo del 2014. Piccole cose, certo, ma indicative di un pressappochismo non entusiasmante.