L’Italia è un Paese che tende ad escludere troppe donne dal mercato del lavoro. Siamo al 76° posto su 153 Paesi nel Global Gender Gap Index 2020, l’indice del World Economic Forum sulla disparità di genere a livello mondiale. L’Italia ha perso sei posizioni nella classifica globale scivolando dal 70° al 76° posto, quintultima tra i Paesi membri dell’Unione Europea davanti solo a Grecia, Malta e Cipro.
Un divario di genere evidente in una disparità salariale e nella minore partecipazione femminile nel mondo del lavoro. La pandemia ha accentuato questa disuguaglianza di carenza di competenze economiche e finanziarie di base, che rende molto difficile operare scelte complesse.

Scoraggia apprendere che secondo il World Economic Forum ci vorranno ancora 99 anni e mezzo per colmare il divario esistente tra uomini e donne nel mondo. Questo gap è principalmente dovuto alla diversa presenza di donne e uomini nel mercato del lavoro: infatti, solo il 55% delle donne è occupata contro il 78% degli uomini. Lo svantaggio è rappresentato principalmente dalle responsabilità genitoriali e di cura nonché l’accesso limitato a un’assistenza all’infanzia di qualità, e dall’altro, i disincentivi monetari alla partecipazione al mercato del lavoro.
Una realtà peggiorata dalla pandemia, che ha inciso in maniera palese sulla partecipazione femminile al mondo del lavoro e aggravato il problema della violenza domestica, nel nostro paese come all’estero.
È evidente che l’emancipazione delle donne e delle ragazze aiuta la crescita economica e lo sviluppo.
Un ruolo fondamentale avranno i fondi del Next Generation EU, erroneamente spesso citati come Recovery Fund, un punto di ripartenza anche per l’Italia che dovrà spenderli con una prospettiva di genere – abbandonando la politica dei sussidi per un piano di investimenti sul lavoro delle donne e per la digitalizzazione del Paese, e soprattutto per i servizi alle famiglie.

I servizi in particolare, favorirebbero senza dubbio anche una maggiore conciliazione tra famiglia e lavoro, fondamentale per rilanciare anche l’occupazione femminile sacrificata al lavoro di cura. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è fortemente legata a politiche di welfare aziendale e sociale.
La difesa della parità, deve essere diffusa e metabolizzata tra la popolazione per superare gli stereotipi di genere, evitando che in alcune situazioni le donne si sottovalutino e trovino normale accettare situazioni di disparità insostenibili rispetto agli uomini.

Finalmente l’Europa ha imposto nell’ambito del pacchetto per la ripresa Next Generation EU, la parità di genere come principio trasversale per l’approvazione dei Recovery Plan degli Stati membri. Un cambio di rotta che servirebbe anche in politica, il campo in cui la donna sicuramente è più sotto rappresentata, non c’è mai stato un Presidente della Repubblica o un Presidente del Consiglio donna.
L’intera Europa è molto sensibile al tema della parità di genere e lo è non solo per un motivo di uguaglianza sociale ma anche per un motivo economico: ogni anno viene perso tra il 4 e il 5% del PIL (prodotto interno lordo, l’intera ricchezza di una nazione) per il mancato coinvolgimento delle donne nelle politiche di un Paese.