“Crolla la fiducia delle piccole e medie imprese trascinata al ribasso dalle previsioni negative di produzione, ordini e fatturato. È l’effetto delle tensioni sui mercati nazionali ed esteri, oltre che delle incertezze politiche a livello globale”. Dall’Api Torino, l’associazione delle Pmi subalpine, è difficile attendersi valutazioni differenti. L’abitudine a lamentarsi è una caratteristica fondamentale ed anche la capacità di scaricare sul mondo le ragioni di una crisi che è invece strutturale. Però sono i dati a preoccupare, molto più delle analisi scontate. E quelli che riguardano il comparto industriale sono particolarmente negativi.
E, mentre c’è, il presidente Fabrizio Cellino si lamenta anche per “l’incremento esagerato del costo del denaro che frena nuovi investimenti e appesantisce le aziende che hanno investito per il loro rilancio post Covid”. Non un cenno al ritardo generale e pluriennale degli investimenti delle imprese italiane, che è alla base della perdita di produttività e competitività. Ma, in compenso, si è sempre pronti ad accettare contributi pubblici per incrementare i profitti privati.
“La nostra indagine – dice Fabio Schena, Responsabile dell’Ufficio studi e innovazione di API Torino -, riporta nuovi segnali di tensioni che si riflettono sul grado di fiducia degli imprenditori e su tutti gli indicatori congiunturali osservati. Il saldo «ottimisti-pessimisti» crolla a -13 perdendo circa 15 punti percentuali rispetto a solo 3 mesi fa (luglio 2023). Il grado di fiducia resta positivo per le imprese che operano nell’ambito dei Servizi (+16), mentre per le imprese manifatturiere e del comparto delle costruzioni i saldi segnano rispettivamente -19,8 e -12,5”. Decisamente al ribasso anche le previsioni sui due indicatori principali: saldo ordini -19,2 (era -7,1), saldo fatturato a -16,4 (era -8,8). Negativo anche il saldo produzione seppur leggermente migliorato rispetto a luglio: -16,5 (era -19,2).
Forti incertezze soprattutto per le imprese manifatturiere il cui portafoglio ordini non va oltre il mese nel 47,5% dei casi e oltre i tre mesi per l’80,2%. Taglio anche per gli investimenti: sono previsti solo dal 47,5% delle imprese (erano il 62,4% tre mesi fa).
Tiene invece l’occupazione. Il ricorso agli ammortizzatori sociali è passato dal 6% al 5,7% (ma sale a 8,8% per le aziende manifatturiere), ma per il futuro le imprese che prevedono di assumere diminuiscono (dal 45,7% al 39%).
Ma a Roma tutto ciò non interessa. Tutto va bene, madama la presidente.