Un intelligente ed interessante articolo di Micaela Cappellini, sul Sole 24 Ore, affronta finalmente in modo concreto le conseguenze del lavoro agile. Perché mentre i baristi del centro città aumentano i prezzi per invogliare i lavoratori precettati, le aziende della ristorazione collettiva corrono ai ripari ed organizzano un’alternativa. Non nelle fabbriche, dove gli operai sono obbligati a lavorare esattamente come prima ed hanno dunque la necessità di una mensa tradizionale. Ma negli uffici, dove anche in prospettiva si lavorerà in presenza solo per un paio di giorni la settimana, mentre il resto del tempo l’attività verrà svolta da casa.
Dunque il nuovo modello di ristorazione aziendale prevede l’installazione di appositi frigoriferi che distribuiranno il pasto ordinato, il giorno precedente, dal lavoratore attraverso un’app. Lo stesso lavoratore potrà anche ordinare il pasto da portarsi a casa per la cena o per il giorno successivo. È evidente che l’azienda dovrà mettere a disposizione dei dipendenti qualche strumento per riscaldare il cibo. Ma, a quel punto, il lavoratore avrà anche la possibilità di portarsi il cibo da casa.
Inevitabilmente il confronto sarà fatto non solo sulla qualità delle pietanze, ma anche sui costi. E il responsabile di uno dei grandi gruppi della ristorazione assicura, nell’articolo, che un pasto costerà circa 5 euro. Dice “pasto”, non piatto. Con un leggero rincaro se l’azienda non si limita a mettere a disposizione i frigoriferi ma preferisce avere una cucina interna. In ogni caso prezzi abbordabili con un normale buono pasto di livello medio.
A differenza di quanto si verifica, nelle grandi città, con i prezzi di un piatto (e non di un pasto) in un bar o in un locale che vive di “pausa pranzo”. Magari riuscirà a comprenderlo anche l’assessore regionale piemontese Gabusi che vuole riportare in ufficio i dipendenti fregandosene dell’insufficienza dei mezzi pubblici e dell’insostenibilità dei prezzi nei locali del centro. Visto che la sua unica preoccupazione è quella di tutelare il commercio in area centrale a scapito delle periferie, potrebbe adeguare l’importo dei buoni pasto ai prezzi effettivi dei bar in cui vuol far mangiare i suoi dipendenti.