Nel trentesimo anniversario di fondazione del Mercato Comune del Sud, il più importante processo di integrazione del Cono Sud, per l’organizzazione sembra essere arrivata una crisi senza precedenti.
L’Uruguay, nazione che ne ospita la sede a Montevideo, ha annunciato l’avvio di consultazioni con la Cina per arrivare a un accordo bilaterale di libero scambio, una mossa contraria ai principi esposti dal Mercosur e che potrebbe costare la sospensione o l’esclusione dall’unione doganale. Una sanzione sicuramente preventivata dal presidente Luis Lacalle Pou che la dice lunga sullo stato di salute e la stasi che tra sospensioni temporanee (Paraguay), semi-definitive (Venezuela) e cambi di strategia dei due colossi del subcontinente (Brasile e Argentina) ha avvolto da anni il Mercosur.
Proprio il cambio di colore dell’esecutivo di Montevideo, dopo i quindici anni consecutivi alla guida della coalizione di centrosinistra del Frente Amplio, aveva fatto ben sperare il presidente brasiliano Jair Bolsonaro per bilanciare l’avvicendamento tra liberali e peronisti alla Casa Rosada, con quest’ultimi notoriamente protezionisti. I problemi che permangono, infatti, continuano ad essere più di natura politica e relativa ai programmi politici dei diversi governi degli stati aderenti rispetto a quelli di natura economica.
La politica commerciale unica non si è mai realizzata impendendo l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, facendo parlare gli esperti del settore di un’unione doganale imperfetta.
Subentrano, qui, anche le priorità diverse tra i giganti carioca e albicelesti intenzionati a difendere il proprio settore industriale e l’assenza del settore secondario nei più piccoli Uruguay e Paraguay. Il futuro, politico e non, difficilmente offrirà la possibilità di venire a capo dei tanti grattacapi presenti in quella che potrebbe restare una semplice area di libero scambio senza avanzare nel processo di integrazione.
Da un lato le elezioni di medio termine in Argentina potrebbero assestare un duro colpo al governo di Alberto Fernández che, però, un’eventuale rielezione di Lula in Brasile il prossimo anno bilancerebbe considerando che il 96% dell’interscambio tra i quattro Paesi è costituito esclusivamente da Brasile e Argentina.