«Con la cultura si mangia, è il nostro petrolio! ». Forse ispirata dagli antichi retori della Respublica Romana, nel transitare davanti all’antica Curia sulla Via Sacra in visita al Parco Archeologico del Palatino, il Presidente del Senato Elisabetta Casellati ha espresso la proposta di far ripartire l’Italia dal suo immenso patrimonio culturale. Dichiarazione fatta il giorno dopo che il Governo ha strappato decine di miliardi all’Unione Europea per realizzare progetti e riforme ad alto impatto socio-economico nei prossimi cinque anni, ossia la durata dell’attuale Commissione: è un atto che trasforma la vecchia Comunità Economica Europea in uno stato federale “in fieri” attraverso la leva finanziaria-fiscale, un atto sulla cui legittimità costituzionale e rispetto ai Trattati europei non mi esprimo.
Perché in questa sede mi interessa focalizzare l’attenzione sulla proposta della Casellati. Ella evidentemente ha percepito che la cultura italiana ultimamente sta vivendo un periodo di fragilità, di scarsità di talenti ma soprattutto di deriva ideologica, che per quanto possa ispirare la creatività rimane un preconcetto spesso basato su deboli fondamenta. Così negli ultimi tempi abbiamo assistito alle performance spogliarellistiche di Achille Lauro al’ultimo Festival della Canzone italiana di Sanremo, dove ha trovato spazio anche Junior Cally, noto cantautore trapper che inneggia alla violenza sulle donne e contro le forze dell’ordine.
Oppure ci siamo sorbiti Chiara Ferragni come testimonial della Galleria degli Uffizi di Firenze, in virtù delle sue doti di influencer sui più giovani (e anche no) che, marketing docet, porteranno milioni di adolescenti italiani a fare la coda davanti alla pinacoteca più importante d’Italia.
Nelle scuole patrie gira il best seller di Stefano Benni (“Pari e patta”), promosso da diversi docenti per la sua estrema chiarezza in materia di matrimonio e vita di coppia, chiaramente ispirato alla cultura trasgender che col DDL in discussione in Parlamento e già votato al Senato diventerà mainstream anche nelle scuole primarie nazionali da settembre (insieme alle mascherine e ai banchi con le rotelle).
Potrei continuare con le pitture a sorpresa di Banski o col manifesto blasfemo contro Gesù esposto l’anno scorso al Museo Macro di Roma (che nasconde simpatie per la cultura pedofila) o ancora con le numerose opere teatrali che reinterpretano i classici greci in chiave moderna, con i soliti riferimenti alla cultura Lgbt, o infine con i tanti film o movie per Netflix ispirati alla violenza, al sadismo, agli zombie o ai drammi psicocriminali. Tralasciando, per brevità di narrazione, i porno-manga, i videogames ultima generazione, la fotografia giornalistica più recente (“foto-ritoccata”), etc. Esempi di cultura moderna condizionata da un pensiero umano “innovativo” e progressista, che ha per obiettivo il “cambiamento” ad ogni costo (o costi quel che costi…) verso un futuro post-umano cui, a mio modesto avviso, non sono pronti nemmeno i millennials (uso molti termini stranieri perché questo è un must della cultura dominante del pensiero unico attuale).
La problematica, però, è anche “di sistema”: il grande patrimonio culturale nazionale è spesso maltrattato, male utilizzato, sottovalutato o semplicemente sconosciuto. Un esempio per tutti è l’abuso di concerti rock/pop o di eventi mediatici televisivi di grande impatto nei due grandi teatri ancora conservati in buone condizioni nel nostro paese, ossia quello greco di Taormina e quello romano di Verona. Per carità, sono due impianti progettati e costruiti per ospitare spettacoli “live” e con molta “audience”: ma sono certo che non furono immaginati per sopportare decine di decibel o migliaia di watt di potenza oppure il peso di enormi macchinari sonori e di videoripresa. Così come non credo che la Basilica Superiore di Assisi sia stata pensata per ospitare concerti rock né spettacoli televisivi (in questo caso, il sito è fuori tema rispetto all’evento).
Sono certo, quindi, che la seconda carica dello Stato volesse inserire il tema del patrimonio culturale italiano nella lista dei progetti che il Governo e la maggioranza (che ormai include stabilmente anche Forza Italia e a breve anche altri pezzi del Centrodestra…) andranno a definire per la ratifica europea nei prossimi mesi: insomma, il richiamo è a non concentrarsi solo sulle solite opere pubbliche costosissime, interminabili e talvolta malfatte, che continuano a offendere l’uomo della Via Gluck e il nostro stesso magnifico ambiente naturale. Si possono costruire ferrovie veloci, porti efficienti, autostrade diramate o edifici pubblici senza dover distruggere l’ecosistema e realizzare le tipiche “cattedrali nel deserto” italiane. Che per la cronaca non rientrano nei canoni del patrimonio culturale così come lo definisce l’Unesco.
A questo proposito, dopo aver “concesso” (uso la parola preferita dal premier) quasi tutte le migliori opere del patrimonio artistico-culturale italico all’Unesco, cui si sono aggiunti nel tempo anche importanti pezzi di territorio o di bene immateriale nazionale, che le ha incluse nel “patrimonio mondiale dell’umanità” di cui alla Convenzione Unesco del 1972, mi piacerebbe capire tutto ciò cosa significa: nel trattato si parla di un generico dovere di proteggere quei siti individuati come “bene universale”, in quanto capaci di mantenere il collegamento storico e intellettuale col passato, nel presente e in chiave futura. Dopodiché, non ho mai capito se l’Unesco finanzia in qualche modo opere di manutenzione o conservazione dei siti riconosciuti o se, come recita il testo dell’accordo, si limiti ad attività di consulenza e stimolo agli stati ad intervenire. Nel qual caso, la Casellati invita il Governo per conto dell’Unesco ad investire anche nella cultura, oltre ai siti o oggetti che già rientrano nella lista italiana di patrimoni universali (oggi sono ben 55, ponendo l’Italia al primo posto insieme alla Cina).
Il suo avvertimento riguarda, in realtà, la cultura tradizionale patria, quella che ha portato i più grandi artisti italiani a realizzare quelle opere che, oggi, sono ancora considerate universalmente quali opere assolute. E che infine spingono milioni di persone, ogni anno, a viaggiare nel “Belpaese” per scoprire questi capolavori e quindi la cucina, i prodotti enogastronomici, gli antichi borghi o i più bei musei al mondo. Allora sì che la dichiarazione della Casellati ha un senso: se la cultura tradizionale e storica che il nostro paese ha sempre coltivato (se non addirittura inventato insieme agli antichi greci) viene difesa, recuperata e valorizzata, sia nella sua forma materiale più evidente, sia soprattutto nella sua sostanza più profonda, di cui si trovano ancora tracce nelle biblioteche, nelle librerie, nelle antiche pievi di campagna come nelle grandiose basiliche, nei castelli e palazzi medievali come nelle città rinascimentali che sono il cuore sociale dell’Italia, allora si può magiare, e bene, con la cultura nostrana. E qui il riferimento non è solo al piatto di minestra o alla braciola fumante: qui si parla di cibo per lo spirito.
In un paese martoriato da una crisi politica e istituzionale senza precedenti, svilito da governi tecnici e multi-colore indegni, distrutto dalla recente epidemia Covid19, forse proprio la cultura tradizionale può ancora offrire quel sostentamento necessario a ricostruire, riprogettare, riedificare la nostra antica patria. Il monito giunge proprio da quel sito che, in passato, fu protagonista di una grandiosa civiltà universale per poi la cancellarla con la sua alterigia.