Michela (il nome non è di fantasia) è un’infermiera dell’ospedale San Lorenzo di Carmagnola, dove da diversi giorni è stato riaperto il reparto di neonatologia per accogliere i malati di coronavirus che devono rimanere in isolamento.
Qualche giorno fa ha pubblicato sui social un post a metà strada tra lo sfogo e la testimonianza. Ci è sembrato così “vero” e toccante che le abbiamo chiesto il permesso di riprenderlo.
Eccolo.
“Arrivi al lavoro, bolli l’ingresso, vai nello spogliatoio, indossi la divisa pulita, raccogli bene i capelli, indossi la cuffia, indossi la mascherina e via, entri in pronto soccorso.
Ci dividiamo le postazioni, “io vado in triage”, “io vado dal chirurgo”, “io dall’internista”, “io vado ai covid”, così abbiamo nominato questo “nuovo” reparto, questa nuova area assistenziale che è entrata a gamba tesa nella normale organizzazione del pronto soccorso dove arrivavano dita rotte, dolori addominali, ictus, infarti, ferite e che, improvvisamente, non arrivano più perché ormai arrivano solo più pazienti con febbre e difficoltà respiratorie e che, quindi, transitano “al covid”.
Indossi tutti i DPI e perdi la tua personalità, non capisci più chi sei…
Ti vedi tra colleghi e dici: “chi sei? Oh scusa, non ti avevo riconosciuta/o!!!!” Anche le voci cambiano perché le mascherine le camuffano.
Cerchi di rispondere alla moltitudine di domande che ti fanno i pazienti, cerchi di confortarli nel momento in cui crollano di fronte al sospetto che si presenta: la polmonite da covid19. Cerchi di far capire loro che il ricovero è necessario per controllare il loro respiro perché i loro polmoni potrebbero avere bisogno di un “aiuto” per continuare a funzionare. Cerchi di confortarli per il fatto che non possono più vedere i loro parenti per un bel po’ di giorni, al massimo con il telefonino in videochiamata.
Sotto quelle maschere ti viene un’arsura pazzesca, una sete incredibile, ma per bere un sorso di acqua devi fare una procedura tale per cui decidi di non bere e andare avanti così.
Di andare in bagno non se ne parla nemmeno, tanto non hai nemmeno bevuto, puoi trattenere.
Poi, ti illumini perché c’è tanta gente che ti ringrazia: i pazienti sono coloro che ti gratificano più di tutti. E poi i riconoscimenti dall’esterno che sono una gioia per i nostri cuori e le nostre menti: arriva il caffè dalla torrefazione, le pizze dalle pizzerie cittadine e limitrofe, pane e mortadella fresca fresca, dolcini di una pasticceria addirittura di Trofarello, tanto per fare degli esempi. Senza dimenticare la mamma di Giulia che ci ha preparato dei meravigliosi arancini siciliani, una squisitezza!
E tutto questo ti fa andare avanti perché ami il tuo lavoro e continui a dire che #andràtuttobene.
Adesso mi preparo per andare ad affrontare un’altra durissima giornata. Le cose stanno peggiorando, sta arrivando il picco atteso, ieri avevamo pazienti ovunque, i reparti sono pieni e, dulcis in fundo, è arrivato il giovanotto che è stato morso da un cane (non suo) mentre entrambi passeggiavano! Vi lascio immaginare la nostra reazione e il rimprovero che gli abbiamo fatto visto che avrebbe dovuto rimanere in casa!”
Grazie a Michela e a tutti i suoi colleghi che sono in prima linea e lottano anche per noi.