Domenico Romeo, detto “Mimmo”, è un dei più importanti selezionatori e tagliatori di radica per pipa d’Italia.
Figlio d’arte, porta avanti l’attività che fu già di suo padre Filippo nello stesso laboratorio di Taggia, in provincia di Imperia, dove l’azienda è nata nel 1950.
Mimmo acquista solo i migliori ciocchi di erica arborea scavati sulle coste di Francia, Spagna, Toscana e Sicilia. Poi li taglia, li fa bollire in un grande calderone alimentato con gli scarti della lavorazione, li fa stagionare o all’aperto o al chiuso a seconda delle stagioni e delle condizioni climatiche, e li vende ai principali produttori artigianali d’Europa, Stati Uniti e Giappone. In Cina no. Si tratta, ci ha detto, di un mercato che non ha ancora esplorato in quanto lo ritiene troppo difficile. Sì però in Russia, dove, sostiene, esistono artigiani assai competenti e esigenti.
Secondo lui, però, l’origine della materia prima che utilizza non è poi così importante. “C’è la radica Mimmo Romeo, non importa da dove arriva. Ciò che conta è la qualità, e la qualità la fa il tagliatore”, dice senza falsa modestia.
Dal 2000 Romeo ha affiancato all’attività di selezionatore e tagliatore quella di produttore. I suoi pezzi si distinguono per il marchio Romeo accompagnato da un logo ovale. Non vanno confusi, ci tiene a precisare, con le pipe “Fabrizio Romeo”. Queste ultime sono fabbricate da un suo cugino e hanno prezzi decisamente inferiori alle sue. Mimmo, infatti, produce pochi pezzi e si rivolge ad un mercato di appassionati che pretendono solo il meglio. “Posso dire – ci ha confidato – di conoscere quasi tutti i possessori delle mie creazioni. Di alcuni sono anche diventato amico. In passato mi capitò di ricomprare i primi due pezzi che avevo prodotto da un cliente americano. Non erano le cose migliori che avessi fatto, ma erano la numero uno e la numero due”.

Come si può ben immaginare i prezzi delle sue pipe non sono proprio alla portata di tutte le tasche. Intanto sono di difficile reperibilità. In Italia sono vendute in esclusiva dal negozio Al Pascià di Milano, che “contrariamente a quanto si dice in giro, non è né mio né di mia moglie. Magari lo fosse!”. Inoltre sono poche. “Per fare una pipa posso anche impiegare mesi – ci ha confidato -. Ne metto in produzione un certo numero, le sbozzo e le lascio riposare. Possono passare intere settimane prima che le riprenda in mano per ultimarle”. D’altra parte la sua attività principale non è questa, e trasformare i ciocchi in placche pronte per essere lavorate gli porta via quasi tutto il tempo che dedica al lavoro. Per lo stesso motivo si tiene lontano dai social: “Non ne ho il tempo. Io devo lavorare!”.
Con la radica ha provato anche a produrre strumenti musicali: bocchini per clarinetto, saxofono e flauti traversi barocchi. “Perché – dice – la radica ha un suo suono”.
Nel 2020 ha creato, insieme ad altri tre mastri pipai e una ventina di associati, l’Accademia della Pipa Italiana. Un sodalizio del tutto informale che ha come scopo il miglioramento delle tecniche di lavorazione attraverso lo scambio di esperienze e opinioni. I componenti sono altamente selezionati e si prefiggono lo scopo di ribaltare il concetto che il brand Italia sia il motivo del successo delle pipe italiane nel mondo.

In altre parole vogliono filtrare nel mercato l’idea che qui da noi ci sono eccellenti artigiani che si pongono in una posizione “altra” rispetto al pur dignitosissime scuole del varesotto o del pesarese. “Il brand Italia – ci tiene a sottolineare – funziona per i grossi marchi, non per i piccoli produttori. Chi compra le mie pipe non compra Italia ma Romeo”.
Insomma: per noi comuni mortali non resta che sognare.