Ai Romantici – quelli veri, tutto Sturm und Drang, senza melense sdolcinature e svenevolezze – non piaceva. Non poteva piacere. Troppo manierato. Troppo formale. Privo di abbandono e slancio. Vuoi mettere il Valzer? Quel turbine di passione, con la Donna che si fa trascinare dall’uomo in un vortice di emozioni e sensi…
E così le fortune del Minuetto tramontarono. Irrimediabilmente.

Però era elegante. Vivace. Brioso. Era l’incarnazione stessa del ‘700. Secolo leggero, lo definì il De Sanctis… E la leggerezza, che a me sembra tutt’ altro che un difetto, è tutta racchiusa in quella danza. E in quella musica. Derivata, a quanto pare, da un ballo popolare di una regione della Francia. Quale, non ricordo….ma doveva essere una regione agricola, dell’interno. I piccoli passi, i gesti ritmati mi sanno tanto di arcaici riti agresti. Di danze propiziatorie. Della fecondità.
Pensateci. O guardate qualche video di un minuetto. Certo, non ha l’abbandono passionale del Valzer. Né tanto meno l’esplicita sensualità del tango. Ma è un corteggiamento perfetto. Il Cavaliere e La Dama si muovono con sincronia degna di un carillon. Lui la circuisce con eleganza, senza alcuna pressione. Senza volgarità. Si sfiorano appena…
Lei si ritrae, poi sembra concedersi. Poi si ritrae di nuovo. È tutta un, mozartiano, “Vorrei e non vorrei… Mi trema un poco il cor…”.
È Ovidio. L’Ars Amatoria divenuta musica e danza. Ogni passo, ogni gesto, perfettamente calcolato. Ludus e lusus…
Giandomenico Tiepolo, il primogenito del grande Gianbattista, ha rappresentato come nessun altro questa danza. Una pluralità di tele, che raffigurano ora una coppia intesa a danzare, in modo stilizzato, quasi sospesa in una solitudine astratta… Ora una festa, rutilante di colori, figure ed abiti in movimento che evocano l’immagine stessa della vita, dell’allegria. Della natura che esplode in musica e danza. Ed è gioia pura. Senza complicazioni. Senza chiaroscuri sentimentali. Giandomeneco non ha la tersità cololoristica del padre. Ma compensa con un’ariosa visione d’insieme. Corale. Forse – ma io non sono un critico d’arte – derivata dagli zii materni. I Guardi…

E poi è il pittore dei Carnevali veneziani. Come il minuetto è, per eccellenza, il ballo del Carnevale.
Racchiude in sé tutto ciò che significa Carnevale. La leggerezza e l’allegria. Il gusto di mascherarsi, del dissimulare e rivelare. L’erotismo libero e il rispetto della forma. Il senso della fugacità del tempo e della giovinezza…
Franco Califano, Il geniale e disordinato Califfo, intitolò Minuetto uno dei suoi brani più belli. Affidandosi alla struggente interpretazione di Mia Martini.
Un minuetto triste. Ma, comunque, raffinato ed elegante. Il senso della vita. Il mutare degli amori.

Qualcuno ha definito minuetto certi giochi di corridoio della politica contemporanea. I continui cambi di casacca, la parata dei voltagabbana. Che, certo, è una sorta di carnevalata. Ma non un vero carnevale. Né, tanto meno, un minuetto. Manca, mancano di eleganza. Di ritmo. Di leggerezza. Sono solo squallide parodie. Null’altro…