Il primo insegnamento per chi va in montagna è la rinuncia. Si deve imparare a rinunciare, a tornare indietro se non ci sono le condizioni per proseguire. Forse, però, era un insegnamento del passato. Quando c’era rispetto per la montagna, quando le Terre Alte erano qualcosa di più di una tavola inclinata sulla quale esibirsi.
Ora, grazie al pensiero unico obbligatorio, sono diventate una palestra, un luogo da non osservare, da non vivere ma dove esibirsi alla ricerca di record privi di ogni significato. Non è più una sfida con se stessi ma con il cronometro.
E in questa fretta fuori luogo non c’è più spazio per la rinuncia.
Tutti hanno il diritto di raggiungere le vette. Meglio se vengono deturpate con impianti di risalita. In caso contrario provvedono le guide a trasportare in vetta, come sacchi di patate, anche quelli che hanno difficoltà ad affrontare le scale di casa.
I morti di questi giorni, praticamente una strage, ripropongo il tema della sicurezza in montagna. La sicurezza assoluta non esiste e non può esistere. I rischi ci sono sempre e l’incidente può capitare ai più esperti come all’idiota che sale sul ghiacciaio con le scarpe da tennis o le infradito, dopo essere arrivato in funivia.
Ma se i rischi ci sono sempre, non è il caso di andare a cercarne altri quando le condizioni del tempo sono proibitive.
Davide Peluzzi, grande montanaro e grande alpinista, sottolinea l’esigenza di informazioni meteo precise e puntuali per salvare le vite e sconsigliare le ascensioni. Ma in questi giorni, sulle Alpi del nord-ovest, non c’era neppure bisogno di informazioni meteo per rendersi conto che non esistevano le condizioni per salire in sicurezza. E persino il meteo della Rai nazionale comunicava notizie corrette (in genere non è così, tanto che il tgr Valle d’Aosta fornisce, nei fine settimana, una contro informazione meteo molto più attendibile). E bastava osservare il cielo per accorgersi che il tempo stava cambiando, in condizioni di temperatura che sconsigliavano ogni avventura.
Eppure sono saliti. Non si sa perché, in questo caso. Altre volte la spiegazione era stata disarmante: “avevamo questi giorni di vacanza e non potevamo rinunciare e sprecare le ferie”.
La banalità del suicidio. “Non potevamo rinunciare”? Certo che avrebbero potuto. Ma è la logica assurda della montagna come luogo per i record. Potevano tornare in ufficio senza un trionfo da raccontare? Potevano ammettere di essere stati sconfitti? È la stessa logica degli uxoricidi. Possono accettare un abbandono vissuto come una sconfitta? Abituati a vincere grazie agli aiuti arbitrali (una raccomandazione, una menzogna, una furbata, una truffa, una lettera anonima: solo l’imbarazzo della scelta), non sanno perdere di fronte a un avversario più forte: la montagna.
Photo credits by Augusto Grandi
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Mi permetto di dissentire: di fronte a simili disgrazie, non le prime, e certamente non le ultime, in cui una combinazione di molteplici fattori, ( tra cui sicuramente errori umani ma non solo questi) ha portato a simili lutti, tanto livore lo trovo veramente fuori luogo, e, oserei dire, di cattivo gusto.
Lo trovo tale, a maggior ragione se viene da chi la montagna la frequenta e l’ha frequentata, perchè dimostra l’ennesima volta quanto sia forte la tentazione di mettersi in cattedra e pontificare sulle altrui disgrazie, magari dalle colonne di un giornale, oppure da un post su internet, con illazioni degne di un bar.
Tenedo conto che molte informazioni sono state rese note nei giorni successivi, attraverso le testimonianze raccolte e le analisi sull’accaduto, lo scagliarsi in questo modo contro chi, tra l’altro, difficilmente può replicare, è a mio avviso riprovevole. Aggiungo che, da frequentatore della montagna da un certo numero di anni, mi è difficile pensare che non sia capitato a tutti di fare errori, e ammettere che questi per circostanze puramente fortuite non abbiano avuto conseguenze nefaste. Non è dicendo ” se la sono andata a cercare” nell’implicita e granitica convinzione che ” a me non sarebbe mai potuto accadere” che si invoca e promuove una vera cultura della sicurezza in montagna, ma si finisce semplicemente nel cadere nella sciagurata tentazione di formulare condanne senza appello. Ecco, questo proprio non potevo omettere di dirlo.
Se si accetta la tesi di Augusto Grandi alla fine forse ci sarà qualche morto in meno, vite preziose perchè questa gente che va in montagna generalmente ha anche grandi qualità personali. Le critiche di Stefano Bertolotto non portano da nessuna parte. Gli stessi morti credo che commenterebbero la loro tragica avventura con una frase lapidaria; “abbiamo fatto una stronzata!”. Lo dico per conoscenza personale: io sono vivo per miracolo (non montagna, ma mare). Pur essendo un esperto ed un fanatico della sicyrezza, arciconvinto che non bisogna mai tentare la sorte, sono riuscito a sommare un paio di immense idiozie che mi hanno portato ad un passo dalla morte. Sono stato ripescato a 10 chilometri al largo dopo 9 ore di lotta con il mare, quando già ero sicuro che la mia vita sarebbe finita entro poche ore. Orbene, se qualcuno mi dice che mi sono comportato da idiota mica mi offendo: è stato proprio così.