A volte ritornano. E ne avremmo fatto volentieri a meno. Di fronte ad una crisi epocale – che non è quella provocata da Renzi o dal virus, ma da chi sta dilapidando miliardi di euro che impoveriranno per decenni tutti gli italiani – il suk romano offre lo squallido spettacolo del ritorno sulla scena di Pierfurby Casini, dell’eterno Bruno Tabacci, del soporifero e vendicativo Enrico Letta, dell’immancabile Mastella attraverso la consorte. In nome del mai dimenticato “moriremo democristiani”. Peccato che sia una Dc di serie D, per essere gentili.

D’altronde il nuovo che avanza non offre prospettive molto più incoraggianti. Il lìder minimo strilla e batte i pugni per non mollare la poltrona, per avere garanzie su un Conte ter in attesa del quater. E stamattina salirà al Colle per farsi riaffidare l’incarico. Il prestigioso filologo Giggino è incerto se difendere sino alla fine il pessimo presidente del consiglio oppure il disastroso ministro dell’Ingiustizia, quel Bonafede che rischia di rappresentare il casus belli. La giustizia italiana non funziona (eufemismo, poi qualcuno tradurrà per Giggino), l’Europa pretende una riforma sostanziale in cambio dei miliardi di euro, ma Bonafede procede sulla sua strada che piace solo ai 5 Stelle ed ai magistrati.
Ha senso morire per la mala giustizia? Per difendere un ministro indifendibile?
La speranza è che l’inquilino del Quirinale ringrazi Conte per il disastroso lavoro compiuto e lo rispedisca a casa definitivamente. Accontentando così Renzi, che salverebbe la faccia. Ma rendendo felice buona parte del Pd che non sopporta più il lìder minimo ed ancor meno Casalino.
A quel punto, però, bisognerebbe offrire qualcosa in cambio ai 5 Stelle. La presidenza del consiglio a Giggino? Con il bonus per corsi di italiano e geografia? Magari i corsi potrebbe tenerli Brunetta, entusiasta di Di Maio e pronto a tutto pur di tornare ad avere visibilità.

Il grande economista venezian-berlusconiano gioca insieme al leghista Giorgetti una partita difficile. La strana coppia vorrebbe riportare il centrodestra al governo con una ammucchiata generale guidata da Draghi o da un personaggio analogo. In cambio – e lo ha chiesto Salvini – di una impossibile elezione di Berlusconi alla presidenza della repubblica. Si gioca a chi la spara più grossa.
Uno scenario folle che lascerebbe fuori Giorgia Meloni, indisponibile all’ammucchiata. Una posizione comoda e furba che garantirebbe a Fdi un clamoroso successo alle elezioni, in conseguenza dell’inevitabile fallimento provocato da qualsiasi esecutivo impegnato a rimediare ai disastri del governo degli Incapaci.

Più facile un Conte ter con ampio rimpasto per accontentare Renzi e per fare entrare i voltagabbana mastellati. Sacrificando Bonafede e qualcuno tra i peggiori (c’è solo l’imbarazzo della scelta). Perché neppure chi ha giurato che avrebbe abbandonato la politica in caso di sconfitta al referendum potrebbe spiegare che il disastroso Bonafede del Conte bis diventa il bravissimo Bonafede del Conte ter. Ed illudersi su un atto di coraggio e di indipendenza di Mattarella pare un po’ troppo.
Tutti contro tutti oppure tutti insieme appassionatamente: il risultato non cambia. E sarà comunque una disfatta per gli italiani.