Giovedì 1 agosto, a Long Island, si è spento a 94 anni il regista americano Don Allan Pennebaker.
Il suo nome, ai più, non dirà molto, ma pur nel suo piccolo l’artista statunitense ha saputo scrivere pagine importanti nella storia del cinema e soprattutto delle riprese cinematografiche. Pennebaker fu infatti il leader di una intera generazione di filmaker che negli anni 60 rivoluzionò le tecniche di ripresa dando vita a quello che, da allora in poi venne definito “cinema verità”.
Uno dei film più influenti di quell’epoca fu “Don’t Look Back”, che nel 1965 catturava la tournée di Bob Dylan in Inghilterra. La pellicola, che uscì nelle sale solo due anni dopo, utilizzava la tecnica della “telecamera nascosta” ed ha influenzato, per non dire formato, intere generazioni di cineasti musicali e politici.
In un epoca in cui i videoclip musicali erano ancora di là da venire, il suo stile coraggioso e originale, poi largamente copiato, si basava sull’uso delle prime telecamere portatili a 16mm sincronizzate con un sistema audio. Le riprese venivano effettuate perlopiù di nascosto, senza che i soggetti ne fossero consapevoli, con il risultato di ottenere sequenze “naturali” che il più delle volte sorprendevano gli stessi inconsapevoli attori. Di quel lavoro lo stesso Dylan ebbe a dire: “È un film bellissimo. Peccato sia su di me”.
Don’t Look Back consentì a Pennebaker di entrare nel mondo del documentarismo dopo che, nel 1960, aveva già ottenuto l’incarico di realizzare “Primary”, dedicato alla vittoria del candidato democratico J. F. Kennedy alle primarie nel Wisconsin.
In ambito musicale realizzò anche “Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” nel 1973, un’opera che contribuì in modo decisivo al successo planetario di David Bowie.
Grazie alla sua opera innovativa in campo cinematografico a Pennebaker venne conferito il premio Oscar alla carriera nel 2013.