L’arrivo di Biden alla Casa Bianca ha portato all’immediata offensiva contro quelli che Washington considera i nemici degli Stati Uniti. Cioè il mondo intero se non è genuflesso di fronte ai dem. Ed allora è partito l’attacco contro Putin utilizzando il caso Navalny. Accompagnato da un analogo atteggiamento nei confronti dell’Egitto. Reo non di aver arrestato degli universitari che studiavano in Europa – gli europei arrestati negli Usa non mancano di certo e la giustizia locale è tutt’altro che impeccabile – ma di oscillare tra il campo statunitense e quello russo.

Gli americani hanno messo in campo le armi consuete: Ong finanziate dagli Usa, informazione a senso unico, nessuno spazio per le repliche dei Paesi accusati, nessun interesse per gli eventuali reati di cui i detenuti sono accusati, nessun raffronto con la repressione statunitense, molto più dura di quella russa, con più morti. Molti più morti.
La fortuna di Washington è che si ritrova di fronte Paesi che non sanno (o non vogliono) utilizzare il soft power. Assenti nella comunicazione, nella gestione delle informazioni, della veicolazione di una cultura differente ed alternativa. Lavrov, che è uno dei migliori ministri degli Esteri a livello mondiale, non riesce a far comprendere agli abitanti degli altri Paesi le ragioni di Mosca. Il cinema diffonde la visione del mondo americana, i social sono in buona parte americani. E quelli messi in campo dagli altri Paesi hanno un pubblico limitato.

Logica conseguenza di una carenza di investimenti che sta caratterizzando gli anni successivi alla caduta del muro. Perché l’Urss i soldi per difendere in regime sovietico li ha spesi, e pure tanti. A partire proprio dall’Italia. Non solo versati direttamente al Pci ma anche alle innumerevoli associazioni culturali, ai circoli, alle iniziative artistiche e letterarie, ai convegni. E poi al mondo della cooperazione, al settore turistico. I risultati non sono mancati, con il partito comunista più grande dell’Occidente anche quando era ormai chiaro che l’Urss non era il paradiso in terra ma solo un grande bluff.
Ora invece la Russia fa felici i costruttori di grandi yacht, i tifosi di alcune squadre di calcio europee, i ristoratori italiani, i gestori delle discoteche. Ma non ottiene alcun risultato sulla immagine complessiva del Paese. Neppure il successo del vaccino Sputnik è stato utilizzato per invertire la tendenza. Arroganza, supponenza, braccino corto. Un mix perdente in un mondo in cui la realtà non conta nulla rispetto all’immagine.

Gli striscioni “verità per Regeni” mettono sotto accusa solo Il Cairo, fingendo di ignorare che la ricerca della verità parte da Cambridge. Ma l’Egitto si può colpire, la Gran Bretagna no. Però l’Egitto – oltre a coprire i propri uomini dei servizi, esattamente come farebbe ogni altro Paese (l’abbattimento dell’aereo militare italiano Argo 16, nel 1973, non solo non ha portato alla condanna dei colpevoli, ma è stato rimosso dalla memoria collettiva per non toccare i servizi “amici”, fregandosene dei 4 morti) – non ha fatto nulla per difendersi attraverso una diversa narrazione. Troppo faticoso, troppo impegnativo.
Errori che Mosca e Il Cairo rischiano di pagare a caro prezzo. Un prezzo più elevato rispetto agli investimenti per un soft power efficace.