Sinceramente non ho mai capito quelli che amano l’estate. Quelli che, come dice una vecchia canzone, sognano l’estate tutto l’anno. Certo, le vacanze scolastiche da ragazzi. Il mare, i monti. Da bambini posso capire. Anche perché, un tempo, si andava via dalla città. E queste diventavano, tra Luglio e Agosto, dei veri e propri deserti. Dove dovevi camminare a lungo sotto il sole per trovare aperto un tabaccaio, un panificio. Un lattaio. Tutte figure per lo più ormai scomparse, sostituite dai supermercati. Sempre aperti, h24 (Lockdown e Speranza permettendo) tutto l’anno…
Allora le vacanze erano lunghe. Lunghissime. Anche perché ci si accontentava di poco. La casa in campagna, o in collina, dei nonni. Una pensioncina a gestione familiare… Offrivano poco. Anzi, niente tranne il paesaggio – marittimo o montano – circostante. Ma costavano anche poco. E ci si stava a lungo. Settimane. Mesi….

Oggi si vuole l’hotel, o affine, con piscina (ma che te ne fai al mare della piscina?), l’idromassaggio, l’area benessere, il menù con le varianti per vegani…. E grasso che cola se, poi, riesci a farci una settimana. Perché i costi sono quelli che sono… Per non parlare di crociere e altre smanie collettive… Così, d’estate, le città restano piene. E si finge di divertirsi andando ad improbabili spiagge sul Tevere, o altro fiume, a mercatini, a feste che vorrebbero essere multiculturali e multietniche. Quindi alla moda e, soprattutto, politicamente corrette.
Una volta c’erano le sagre di paese. Ricordo con nostalgia quella del Peperone. A Zero Branco, nella Marca Trevigiana. Vi andavo tutti gli anni con mio padre e i suoi amici. Orchestrine. Cantanti da balera. Grigliate di carne e peperoni. Vino rosso in una tazza di ceramica decorata, che poi ti portavi a casa come buon ricordo…i giovani ballavano… Semplice. Senza tanti fronzoli. Ma ci si divertiva…
Oggi, le estati in città sono infinite. E insopportabili. Lo erano già prima del Covid. Ora…. Comunque, sinceramente, l’estate è sempre stata, per me, la stagione meno amata. Forse perché sopporto male il caldo. E soprattutto l’afa, che negli anni si è fatta sempre più opprimente. Dicono, gli esperti, che sia colpa del famigerato Anticiclone Africano. Che tende, sempre più, a subentrare al suo collega delle Azzorre. Quello che garantiva le fresche estati mediterranee della mia infanzia. Questo Africano un tempo non c’era. Non se ne parlava, per lo meno. Restava dalle sue parti. Ovvero sotto il Sahara. Ma ora è diventato un ospite stagionale fisso. Un migrante periodico e invasivo. Come se il clima riflettesse ( o si proiettasse) i fenomeni e le trasformazione sociali… Ci sarebbe di che riflettere, su questa aria sempre più africana che ci avvolge e opprime. Ci scriverò qualcosa, una volta o l’altra. Sperando di non incorrere nelle ire della Boldrini e co…..
Però questo è un articolo, o meglio, una annoiata divagazione estiva, sul perché non amo l’estate. Soprattutto da quando, per mia scelta e mio errore, vivo a Roma. Città splendida. Unica, che amo. O meglio che amavo moltissimo prima di venirci ad abitare. Perché, come mi diceva Marco, amico fraterno e testaccino da sette generazioni: “André, fare er turista è na cosa. Viverce costa fatica.” E aveva ragione da vendere. Faticosa sempre, in Estate è addirittura stremante. Non solo e non tanto per il caldo e l’afa. Che altrove è, certo, peggiore. Ma per altre cose. Tante, troppe…

Lascio perdere i servizi che non funzionano tutto l’anno, e che, però, in estate riescono a peggiorare. E mi limito ad accennare alla sporcizia. O meglio, alle montagne di immondizia che si accumulano ad ogni angolo di strada. Delle strade del centro storico e, ancor di più, di quella immensa periferia anonima che è, poi, il resto di Roma. Quella che non ha vestigia né memoria dei Cesari e dei Papi. Che non è nemmeno borgata, coatta ma viva e vitale. Quella che è solo quartieri residenziali, spesso con molte pretese, e in realtà anonimi, e tristi, dormitori.
Roma è una città sommersa di immondizie. Dove Regnano i topi. E, soprattutto, le mosche. Sciami di mosche che si levano dai sacchi che marciscono al sole. Attratte da un odore, nauseabondo e pervasivo, di marciume. Di decomposizione. Di cadavere. Colpa delle amministrazioni, certo. È soprattutto dell’ultima. Quello che ha dimostrato cosa valga davvero la (falsa) utopia dell’uno vale uno. Ovvero meno, molto meno di zero. Ma colpa, anche, dell’apatia generale. Della greve maleducazione di troppi. Dei molti che si sono abituati ad una città che sarebbe indegna del Burkina Faso. E mi scuso con il Burkina Faso, e con la memoria di Sankara…
Ma le mosche che sciamano e si posano ovunque, non sono solo un fastidio. Non per nulla uno dei più antichi nomi del Diavolo è Belzebù. Ovvero Baal Zebu. Il Signore delle mosche. Sono segno di morte. E di corruzione, ormai avanzata, del cadavere. Un presagio sempre funesto. Forse, ci vogliono dire qualcosa. Sulla condizione non solo di una città. Ma di una cultura. O di un popolo…
O forse sono solo uno dei tanti fastidi di questa stagione. Che non amo. E che sopporto. Sperando che, presto, arrivino le piogge a dilavare le strade. E l’autunno a mettere in fuga mosche ed aria africana.
1 commento
Roma è diventata una vera cloaca a cielo aperto,ma questa è la fine di molte città e paesi,anche piccoli come il mio, da anni preda di gente che si riempie la bocca e le tasche di green,quello che piace al politicamente corretto,mentre quotidianamente ogni angolo di campagna viene usato come discarica ,che cresce,si alimenta, e che il vento trasporta.Il tutto mentre si continua a raccogliere solo il contenuto del mastello dinanzi la porta dell’ utente e si postano selfie di ogni sorta,anche di “convegni” di cultura, premio letterario per valorizzare un paese al botulino e di plastica, anche quella sparsa letteralmente ovunque.
Una involuzione che ho potuto constatare negli anni, quando ancora mi spostavo, talvolta,o vivevo altrove,in luoghi che in confronto mi sembravano isole di correttezza e pulizia.Una involuzione così disgustosa e carica di falsità,dietro le quali vengono dissimulati i fatti reali,che mi porta ad auspicare,senza un minimo di becero buonismo, una vera e propria implosione.
L estate,in questi momenti di riflessione, diviene un po’ la stagione della sfacciataggine, del vuoto eccesso ,della corsa stupida.E, ciò,costringe taluni a stare maggiormente al riparo da certe spiagge dell’ esistenza, in favore sempre di altre,anomale,forse peggiori,poco importa,dove i lockdown hanno altri nomi,dove non ci sono domande come- Dove vai in FERIE?FIGO- o -Cosa ti auguri per il nuovo anno?- la classica di quelle del periodo -vacanze natalizie/Capodanno.
Ma, ora,quasi sto uscendo fuori tema,sto eccedendo anche io, come la troppa luce estiva che diviene prepotente come le masse che quest’ anno hanno avuto un altro comune impegno buonista, il siero prima della discoteca e della spiaggia.
E, allora, torno al titolo, perché se ho scritto è proprio per quelle mosche, quelle che sono sempre sugli occhi di bambini africani ripresi per qualche pubblicità di organizzazioni umanitarie…
Mosche e topi ai quali mi aveva fatto pensare il precedente articolo su un INCUBO, lungo adesso da spiegare.
Le mosche che,in questo momento,sono tante, perché tanto è ormai il putridume,come viene ben espresso nell’ articolo.Ed io,non posso non pensare, leggendolo , ad un brano che amavo di cui mi giunge sempre il verso ALLE MOSCHE RIMANE LA MERDA,IL CIELO APPARTIENE AI POTENTI.
Un Claudio Lolli che ci dà una sua visione della mosca e del Potere che si prende tutto.
Ma ho visto anche degli zingari felici,corrersi dietro e far l amore,rotolarsi per terra.
-Zingari felici-,
perché non si ha libertà certificata.
E dato che si parla di Roma ed è di pochi giorni fa la festa dei Patroni.io penso ad un altro Paolo, di Tebe,il primo dei Padri della Chiesa.
Nel deserto per sfuggire ai potenti e a quelle mosche da essi alimentate.