Oggi voglio parlarvi di un film che racconta di un tentativo di riscatto.
Ma non si tratta di un film thriller con qualcuno che rapisce qualcun altro; inseguimenti, sparatorie e tutto il repertorio.
Parliamo del tentativo di riscattarsi da una vita di estrema povertà. Fatta di pochissimi soldi e praticamente nessuna vera opportunità.
Opportunità di cosa? Opportunità di riscattarsi da quella vita. Ma allora è un circolo vizioso, direte voi.
Vero. Come è vero che chi si trova in una condizione di totale indigenza le prova tutte pur di uscirne.
La storia che ci racconta questo film è quindi quella di un uomo e degli altri attorno a lui, che, costretti da una condizione insostenibile, compiono un estremo tentativo di riscatto.
La violenza, che nel thriller classico è opera dei singoli cattivoni (o magari dei buoni, ma solo perché provocati), qui diventa ultraviolenza. Ma non è quella di Kubrik. È l’ultraviolenza praticata da un sistema politico, economico e sociale, sulla pelle degli ultimi di una società dove gli ultimi sono la maggioranza.
Siamo in Perù. Jorge, il protagonista, cerca la sua Eldorado. Lo dico in senso retorico, ma anche in senso letterale.
Sulla cordigliera delle Ande c’è una città mineraria, si chiama “La Rinconada”. Migliaia di giovani come Jorge vi accorrono da tutto il paese in cerca di fortuna.
In MOTHER LODE, con un intenso, contrastato e definito bianco e nero (la bella fotografia è di Patrick Tresch), il regista Matteo Tortone ci accompagna in un mondo quasi surreale, quello della miniera, che però di estremamente vero ha la sfida con la morte.
La miniera è la dimora del diavolo. È il suo regno. È lui a dispensare sia fortuna che guai. Al diavolo però piace giocare a modo suo, così se la fortuna consiste al massimo nel riuscire a mandare un po’ di soldi a casa, i guai quasi sempre vogliono dire la morte.
Lavorare in miniera diventa così una sorta di roulette russa quotidiana. La sproporzione tra la posta in gioco, che è la propria vita, e il misero premio, pochi denari giusto per tirare avanti un altro po’, risulta assurda. Eppure migliaia di giovani come Jorge si prestano “volontariamente” a questo folle gioco d’azzardo.
Si sviluppa così un pensiero magico che permea la vita dei minatori. È una modalità indispensabile per cercare di prevedere, controllare, esorcizzare la morte e la vita nella miniera.
MOTHER LODE è un film particolare. Il regista, Matteo Tortone, è un documentarista, ma qui ha fatto un lavoro diverso dal suo solito registro. Per capirne di più e meglio, ho pensato di chiedere direttamente a lui.
Ciao Matteo, ci racconti brevemente la genesi di questo film?
Nel 2010 ero in Tanzania a girare un documentario, “White Man”. C’era questo piccolo villaggio di minatori d’oro dove avevo percepito una dimensione metafisica. La crisi economica globale partita nel 2007 e il ricordo di quel luogo mi hanno portato a decidere di raccontare una storia che parlasse della corsa all’oro contemporanea.
Mi ero reso conto che la curva del prezzo dell’oro rappresenta non soltanto il prezzo, ma anche il movimento di centinaia di migliaia di persone che nel mondo si recano nei villaggi dove si estrae il prezioso metallo.
Così ho trovato “La Rinconada”. È considerata la città più alta del mondo (circa 5300 m). Mi è sembrato un avamposto lunare. Per me era perfetta, perché rappresentava in una sola immagine la conquista di uno spazio tendente all’infinito. Poi ho trovato il protagonista. Lui è di Lima. Il film racconta di un luogo, ma anche del viaggio che questi minatori migranti fanno per arrivarci.
José, il protagonista, era già stato alla Rinconada quando aveva 13 anni, e aveva scritto dei diari. Cercava di distinguere i ricordi della realtà da quelli del pensiero magico che caratterizzano la vita della miniera.
Nel film, le frasi della voce fuori campo sono tratte da quei suoi scritti.
Consideri MOTHER LODE un documentario? E se no, come lo classificheresti?
Ci sono due modi, credo, per definire questo film. Uno è quello più semplice e immediato, cioè considerarlo come un ibrido. L’altro è quello che si definisce come il “cinema del reale”; cioè un racconto di finzione con attori non professionisti che spesso interpretano se stessi.
In MOTHER LODE la storia è imposta dalla scrittura, ma i personaggi sono tutti veri minatori che, presentati nel loro contesto reale, recitano su un canovaccio. Il tema centrale del film si struttura tutto sulla potenzialità metaforica del pensiero magico. Il pensiero magico, (essendo poi il soggetto vero del film) è qualcosa che esiste, ma non esiste. Quindi come si può parlare veramente di realtà, di verità, riguardo al pensiero magico? Il pensiero magico è una messinscena, una rappresentazione della realtà. Raccontare questa storia è diventato raccontare una realtà metafisica con immagini, personaggi e luoghi reali.
Nel film dichiari il carattere universale di questa storia, me ne vuoi parlare?
Quando sono tornato dal mio viaggio mi sono chiesto quanto fosse lecito utilizzare questa storia come metafora. Poi ho letto “The Devil and Commodity Fetishism in South America”. È il libro di un antropologo americano, Michael Taussig. Lui analizza tutte le figure del diavolo legate alle miniere d’oro in America Latina, e i rituali ad esso connessi. Poi arriva a dimostrare come il numero e la ferocia di questi rituali (a volte con veri e propri sacrifici umani) siano direttamente proporzionali al prezzo dell’oro.
Se poi consideri che gli uomini estraggono l’oro da sempre, questa storia assume un carattere universale anche nel tempo.
Ci racconti qualche “dietro le quinte”?
Le scene all’interno della miniera le abbiamo dovute girare in un solo giorno, questione di permessi. Era carnevale e i lavori di estrazione erano fermi. Se ti addentri nelle scurissime gallerie rischi di imbatterti in gruppi di persone che, approfittando della situazione, cercano di rubare materiale e attrezzature da cantiere. Le autorità ci hanno quindi fornito una scorta di ben sette poliziotti, che avevano tutti un kalasnikov. E questo perché anche i ladri, probabilmente, sarebbero stati armati fino ai denti. A rendere la situazione ancora più estrema la scorta era tutta dietro di noi. Così, nell’eventualità di uno sfortunato incontro con i ladri da miniera, noi ci saremmo trovati letteralmente tra due fuochi.