Dopo due giorni di pioggia – quegli scrosci improvvisi che ci hanno sorpresi (e inzuppati) per le vie, costringendo la gente a rapide fughe – è tornato uno sprazzo di sereno. Nel cielo, una grande Luna. Lucente e argentea, non più velata dalle foschie della tarda estate. Limpida. Perché l’aria è più fresca e tersa. Quasi fredda prima dell’alba.
Siamo, quasi, al plenilunio. E Venere, Lucifero come veniva chiamata un tempo, è lì, ad annunziare il giorno. Il giorno di festa, la domenica. Il più atteso. Ed anche, alla fine, il più amaro, secondo Leopardi.
In effetti, qui (ma mi piacerebbe dire quassù) i giorni festivi sono quattro. Le feste del patrono. O meglio, come usa chiamarle, la Festa Granda. Chiude l’estate. E annuncia l’autunno, con i suoi colori accesi, il dipinto di un impressionista. Il più grande… perché Dio, come scrive Pound, è il Grande Esteta. D’altro canto, da chi viene l’idea stessa di bellezza che poeti, pittori, artisti inseguono da sempre? Sfiorandola, talvolta. Ma senza mai raggiungerla completamente. Inarrivabile.
Sono stati giorni di musica. Venerdì sera, a teatro, i Carmina Burana di Carl Orff. Diretti dal maestro Andrea Fuoli. L’orchestra giovanile trentina, l’alternarsi e intrecciarsi di due cori. Tre voci. Un baritono, un soprano. E un tenore.
Scelta ardua. Per certi versi, coraggiosa. Orff è musicista difficile, sin dalle scelte dei temi. Colti, raffinati. Potrei dire…elitari. Per pochi appassionati. I Catulli Carmina. Il Trionfo di Afrodite da, ancora, Catullo, Saffo, Euripide … Callimaco di Cirene…
Musica particolare. Che parte da Debussy, ma subito si contamina con l’avanguardia dodecafonica, il teatro giapponese No e Kabuki. E approda alla riscoperta di Monteverdi e della tradizione rinascimentale e barocca.
Soprattutto musicista particolare Orff. Molto discusso già in vita. La sua rottura con l’opera ottocentesca, e, del pari, la distanza da Wagner e Richard Strauss. Gli portò feroci attacchi dalla critica ufficiale, quella più allineata col regime Nazional-socialista. Eppure fu, poi, considerato compromesso con il “nazismo”. E, per questo, ben poco eseguito nel secondo dopoguerra. Destino comune a spiriti liberi, mai proni ai dettati estetici ufficiali. Mai pedissequi seguaci di ideologie e mode imperanti. Un Anarca della musica, per citare un suo grande contemporaneo. Ernst Jünger.
Poco eseguito. Tranne che per i Carmina Burana. Un capolavoro che non è stato possibile ignorare. Un impasto di canto lirico barocco, coralità medioevale che evoca atmosfere de monasteri gregoriani e, al contempo, di taverne affollate da goliardi. E un’orchestra che, a tratti, sembra utilizzare lo stile del jazz… E poi, l’incredibile suggestione del latino. Un latino tardo medievale, già ricco di volgarismi. Lingua parlata ancora, in evoluzione. La lingua dei Clerici Vagantes.
Certo, proporre un’opera così nel cuore di una festa paesana, è un atto di coraggio. Forse un azzardo. Ma il teatro era strapieno. E il pubblico incantato. Fuori, il cadere ritmico della pioggia sembrava fare da contrappunto all’orchestra…
La sera successiva una schiarita. Ed eravamo in piazza. Tutt’altro concerto, tutt’ altra musica. Una band locale. Che fa cover di gruppi americani, Eagles ed altri. Rock anni ’70. Con venature di Country. Il pubblico è diverso. Capelli lunghi, spesso raccolti in una coda. Grigi. Donne con i capelli scarmigliati e abiti zingareschi. Vecchi hyppies nostalgici. Bevono birra e bourbon. Seguono cantando. Battono le mani con un’ energia quasi giovanile.
Mio figlio si diverte. Ho portato anche lui stasera. Per Orff…beh, non era il caso. Ma qui, in piazza, ride felice. Batte anche lui le mani a tempo. Prova a canticchiare….è un’esperienza nuova.
Poi, comincia a gocciolare. Ci allontaniamo in fretta sull’acciottolato di porfido che diventa lucido. Ma la band continua, imperterrita. Non sono professionisti. Cantano per divertimento. E passione. La musica ci insegue sino alla porta di casa…
Oggi è domenica. E la Festa si chiude. È stato bello, però. Riscoprire un momento in cui il tempo ordinario viene sospeso. E si crea una sorta di isola, o di giardino magico. Pervaso di musica. Come in un’opera, dimenticata, di Orff.