Il nano se ne sta lì. Sulla porta carraia. E dice a Zarathustra: il tempo non è che un circolo. Lo dice con tono irridente. Sprezzante. E nell’animo del Profeta si spalanca l’abisso…
Tranquilli. Non è una lezione su Nietzsche e sul mito dell’Eterno Ritorno. Che sarebbe certo gravosa in questo, afoso , scorcio di inizio estate. Gravoso per chi dovesse leggere. E anche per me che scrivo…
Io, poi, non sono un insegnante di filosofia. Né tanto meno un filosofo. Però sta storia del Nano mi è tornata in mente durante gli esami. Ascoltando uno dei miei coatti affabulare alla bell’e meglio qualcosa sul “Così parlò Zarathustra”. Non che dicesse tante corbellerie. Anzi.. ma una cosa è aver studiato. E ben altra l’aver capito…
Comunque, il Nano, che scava come una talpa, e che se la ride, semplificando in modo rozzo il dramma del tempo circolare – o della circolarità del tempo, decidete voi – mi è tornato in mente dopo molto, moltissimo tempo. Perché quella del Zarathustra nicciano è lettura, ormai, antica.
E così mi sono posto una di quelle domande, forse un poco oziose, che mi vengono quando insegno. O meglio, quando interrogo, e, inevitabilmente, mi annoio ad interrogare.. Perché un Nano?
Ora, so bene tutte (o quasi) le interpretazioni date nel tempo dagli esegeti di Nietzsche. Tutte interessanti, certo. E , al solito, nessuna esaustiva. Ma quello che mi manca è il capire da dove il Filosofo abbia poi tratto l’idea, o meglio l’immagine di questo Nano. Ed è, sinceramente, una domanda che mi affascina.
Perché Nietzsche era tedesco. Profondamente, radicalmente germanico. Anche se la sua cultura era quella di un filologo formatosi sui testi, e i miti, greci. Ma il mondo imaginale di un uomo non è fatto solo da ciò che ha letto e studiato. È intriso, anche e soprattutto, dagli echi della cultura profonda del popolo cui appartiene. Dai suoi miti e dalle sue fiabe. Il, complesso, rapporto con Wagner sta a dimostrarlo.
E nella cultura tedesca, più in generale in quelle germaniche, i Nani sono figure che ritornano spesso. E che esercitano un ruolo difficile da comprendere.
Un ruolo non riducibile alla versione disneyana della fiaba di Biancaneve.
Piuttosto che a Cucciolo che balla con la fanciulla, stando sulle spalle dei fratelli, mi viene da pensare all’originale. Alla narrazione che i Grimm raccolsero dalla bocca di qualche vecchia contadina tedesca, vagando per le strade polverose di una Germania ove ancora forte era la suggestione del medioevo. Di un medioevo barbarico.
I Sette Nani. Sette come i Pianeti. E sette come i metalli che ai pianeti corrispondono simbolicamente. Che vivono nei recessi oscuri della Foresta. Una foresta cupa, immane, che copriva tutta l’Europa Centrale. E che passano i giorni scavando nelle profondità della terra. Alla ricerca di elementi preziosi. Gemme. Diamanti. Traendoli dalla materia grezza. Volgare. Accolgono Biancaneve. La proteggono. E, alla fine, sono loro, non il Principe Azzurro, ad annientare la bellezza malvagia di Crimilde. La Strega dai due volti. Uno giovane e bellissimo. L’altro vecchio e mostruoso.
Crimilde, la Regina, è crudele. Vuole la morte di Biancaneve. Di una bellezza diversa e superiore alla sua. Perché pura e incontaminata. Una Bellezza che il Tempo, inesorabile nel suo scorrere, non può accettare. E vuole distruggere.
La protezione, e poi la vendetta, viene dalle profondità della terra. Dai Nani che conoscono i segreti del ferro e dell’oro. Come ricorda la Saga dei Nibelunghi. Dove il Nano è il fabbro, che cresce Sigfrido. E gli insegna l’arte di saldare la spada spezzata.
Tolkien riecheggia e rivisita con grande intuito, e personalissimo stile, lo stesso tema. Prima nello Hobbit. E, poi, nella grande Trilogia…
Il Nano, però, è figura inquietante. Non ha la luminosità degli elfi. Né partecipa ai giochi e alle feste delle fate, nei boschi illuminati dalla Luna dell’estate.
In lui vi è qualcosa di invernale. Il suo mondo, è il mondo dei cristalli. Delle forme definite e scintillanti, ma fredde. Non quello della fioritura e degli alberi carichi di frutta.
Il suo Solstizio è quello dell’inverno. Quando tutto appare morto in superficie. E in realtà la vita urge nelle profondità.
Tant’è che, spesso, nelle superstizioni popolari viene visto come figura chiaroscurale. Capace di essere ostile. Irosa. Vendicativa. Come nell’Antologia di Spoon River di De Andrè…
Forse vi è questo dietro al Nano di Nietzsche. E alla sua affermazione arrogante che il tempo è solo un cerchio. Sempre uguale a se stesso. Per lui, per il Nano, è verità. Indiscutibile.
Ma la statura di Zarathustra è ben altra. E il suo orizzonte molto più complesso…
Ma questa è altra storia… O altra fiaba…
1 commento
“Cosa vuol dire avere un metro mezzo di statura…”
L attacco di De Andrè mi giunge in automatico