Nankurunaisa. È una parola giapponese, naturalmente. Che esprime un concetto molto complesso. Quasi intraducibile nella nostra lingua. Se non con lunghi giri di parole.
Accade spesso, con alcuni concetti base della cultura nipponica. Nella sua lingua basta una parola. È lingua estremamente sintetica. Fortemente simbolica ed evocativa. Forse perché non ha conosciuto, per molto tempo, l’elaborazione dialettica. A fondamento della nostra forma mentis vi è, e permane, la Sofistica. Gorgia e Protagora. Di quella giapponese lo Zen.
Noi abbiamo avuto lo splendere barocco di Gongora e Marino. Loro gli Haiku di Bashō. Grande poesia comunque. Ma la distanza è oceanica.
Probabilmente ha influito la scrittura ideogrammatica, importata dalla Cina. E a lungo in uso in Giappone. L’ ideogramma rappresenta un concetto. Evoca un’idea. Non si presta a complesse digressioni dialettiche. Ho spesso pensato – nelle mie periodiche divagazioni oziose di un ozioso (rubando il titolo a un delizioso libretto di Jerome K. Jerome) – che qualcuno dovrebbe provare, una volta o l’altra, a scrivere una storia delle culture proprio partendo dalla…scrittura. Ovvero dai sistemi di scrittura adottati. Pittogrammi, geroglifici, ideogrammi… scrittura sillabica… alfabeti, rigorosamente al plurale. Perché ci sono differenze profonde fra il greco e l’ebraico. E fra l’alfabeto latino e quello cirillico…
Ma torniamo a Nankurunaisa. Se faccio un po’ di ricerche su diversi lessici e vocabolari trovo diverse traduzioni. O meglio, interpretazioni.
Intanto perché è parola diventata molto popolare in occidente. Soprattutto tra gli appassionati di tatuaggi, giovani e meno giovani. Che hanno preso l’abitudine di farsene incidere gli ideogrammi sulla pelle. Gli ideogrammi, perché dovrebbe essere “nankuru nai sa”, quindi una frase. Non una parola. Per di più nel, cosiddetto, dialetto di Okinawa. Che è un’isola molto, davvero molto particolare. O meglio un gruppo di isolette, dove è nato il karate da arti marziali locali. E dove la popolazione pare che sia la più longeva del mondo. È anche, per inciso, sede di una importante base militare statunitense. Dal 1945. Cosa che rende felici, come potete immaginare, i vicini cinesi…
Comunque, parola o frase che sia, è diventata di moda perché considerata di buon augurio. Significherebbe: tutto andrà a posto con il tempo. O giù di lì…
Il condizionale è, però, d’obbligo. Perché, vedete, questa diffusa interpretazione – che mi pare abbia ispirato anche un brano musicale americano degli anni ’80 – ha una grossa pecca. Si fa condizionare dall’ idea di un certo fatalismo tipicamente orientale. Tipicamente nella nostra visione però. Perché questo fatalismo ottimistico è, in buona sostanza, un’invenzione occidentale. Dell’occidente dei figli dei fiori e della New Age. Che è tanto affascinato dall’ Oriente. E dalla sua spiritualità.
Solo che questo Oriente esiste solo nelle fantasie astratte di occidentali viziati. E questa spiritualità è prodotta da confusione emotiva. Nonché dall’uso di sostanze non proprio…beh, diciamo salubri.
Nankurunaisa ne è un esempio.
Ben lungi da essere un invito ad un ottimismo panglossiano, implica una forte tensione morale. Perché il suo significato più prossimo dovrebbe essere: comportati come è tuo dovere, e tutte le cose andranno a posto.
Secondo il tuo dovere. Nietzsche saprebbe spiegarlo. Perché qui riecheggia il tema dell’Amor Fati. Il dovere primo dell’uomo è accettare anche il destino avverso. Fare delle scelte, e portarle sino in fondo. Costi quello che costi.
Poi, certo, tutto andrà a posto. Ma non nel senso di coloro che, un paio d’anni or sono, esponevano striscioni con scritta “Andrà tutto bene”, e cantavano garruli dai balconi. E sappiamo come poi è andata. E come sta continuando ad andare…
Nankurunaisa. Al di là dei tatuaggi, delle mode, delle fumose fantasie di occidentali alla, astratta, ricerca di compensazioni emotive, che chiamano spiritualità… sarebbe concetto da meditare attentamente.
Comportati secondo il tuo Dovere. Poi tutto andrà a posto. Ovvero così come deve andare. Non è detto che andrà bene. Ma tu sarai comunque a posto con te stesso. Un Uomo. In piedi. Anche se tutto intorno dovesse crollare.
In questo momento una frase certo non di conforto. Ma sicuramente istruttiva…