La tradizione non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco. Ed allora scatta l’applauso di fronte all’iniziativa della vulcanica Maria Lodovica Gullino che ha voluto far nascere a Torino il primo Festival internazionale dell’agricoltura che si svolgerà dal 31 marzo al 2 aprile. ColtivaTo sarà il nome ufficiale che, in nome della custodia del fuoco, garantirà a Torino un nuovo ruolo, dopo la squallida fine del primato nel settore automobilistico. Senza dimenticare che, tra pochi giorni, inizierà anche il Salone del Vino, sino ad ora piuttosto sotto tono quanto a promozione.
Il festival dell’agricoltura nasce dalla consapevolezza di ospitare, alle porte della capitale subalpina, un centro di eccellenza internazionale come Agroinnova. Ma, ovviamente, si punta a coinvolgere l’intero territorio poiché la visione deve essere appunto internazionale. Perché, giustamente, gli organizzatori fanno notare che un normale cittadino, se deve scegliere un dentista, si rivolge a chi utilizza strumenti d’avanguardia e non i vecchi e dolorosi metodi del passato. Ma, sul cibo, si tende a guardare sempre al piccolo mondo antico.
Dunque il festival servirà a far conoscere il cambiamento dell’agricoltura. Le nuove tecniche, le nuove tendenze, i nuovi problemi, le nuove sfide. Dal cambiamento climatico alla sostenibilità, dalle nuove tecnologie ai nuovi mercati.
Tutto giusto, tutto bello. A patto, però, di ricordare che il cibo non è solo coltura ma anche cultura. Ed imporre – imporre, non proporre – nuovi stili alimentari significa voler scientemente distruggere le culture che non rispondono al politicamente corretto ed al pensiero unico obbligatorio. Non bastano le mozioni della senatrice Paola Ambrogio, in difesa del cibo del territorio, per contrastare una piderosa macchina da guerra dei sostenitori della carne sintetica o di simili amenità.
La presenza, tra i relatori, di Elsa Fornero non induce all’ottimismo. E la collaborazione con la “Biennale democrazia (a senso unico)” è fonte di ulteriori preoccupazioni. Se l’agricoltura del futuro deve essere basata sullo sfruttamento della manodopera, possibilmente immigrata, sulla produzione di vermi e grilli, sul controllo delle terre da parte di poche multinazionali, allora diventa sacrosanto il rimpianto del “buon tempo antico”. Che non sarà stato proprio buono e neppure bello, ma rispetto al mondo che piace a Fornero ed alle multinazionali era semplicemente un capolavoro.