Fatico a spiegare anche a me stesso l’attrazione che provo per le, cosiddette, “Nature Morte”. Preciso: cosiddette. Perché in Natura non vi è nulla di davvero morto. Tanto meno se questi oggetti, piante, frutta o altro vengono filtrati dall’arte. Dalla mano e dalla fantasia di un artista. Che, mentre dipinge, in qualche modo e quasi sempre inconsapevolmente, gioca ad imitare… Dio. Perché Dio è, come scrive Pound, il Grande Esteta. L’artista inarrivabile, che ha dipinto le rocce “in modo nipponico”. Con un tratto, e una gentilezza, cui neppure i più grandi maestri umani hanno, mai, potuto avvicinarsi.
Comunque, queste Nature “Morte” mi piacciono. O meglio, mi affascinano. E non è, solo, questione di apprezzare l’arte di alcuni grandi. È qualcosa di molto più… profondo .
Certo, il tocco di grandi artisti è importante.
Penso, soprattutto, ai maestri del Manierismo e del Barocco. Che seppero elevare quello che, da sempre, era stato solo un particolare in un’opera più complessa – un vaso di fiori, un cesto di frutta, come già negli affreschi pompeiani – a focus principale. Centro su cui converge tutta l’attenzione. E la Luce.
Basti pensare a quella “Fiscella (canestro) con frutta” o all’ancor più suggestiva “Natura Morta con frutta” del Caravaggio. Dove la frutta deborda dal vaso, ed è sparsa su un tavolo di pietra, in parte già affettata…
O agli strumenti musicali di Evaristo Baschenis, immobili nel silenzio. Eppure che sembrano diffondere, tutto intorno, una musica avvolgente.
Pezzi di bravura. Di artisti che, specializzati o meno nel genere, lavoravano su commissione. Andando incontro al gusto dominante che guardava, appunto, ai mosaici romani, alle pitture di Ercolano e Pompei che cominciavano ad emergere dalle ceneri laviche.
Però non era tutto, solo, qui. Altrimenti non si spiegherebbe la fortuna della Natura Morta nel ‘900. Nel pieno ribollire delle avanguardie.
La, allucinata, perfezione di Gregorio Sciltian. La realtà dell’oggetto, la sua materialità che si fa… magia.
Le bottiglie deformate dallo sguardo di Modigliani.
E persino Boccioni, il più grande fra i futuristi, che odiava ogni Manierismo, ogni raffigurazione statica….persino luì si cimenta in Nature Morte.
Guardate, ad esempio, “Cocomero”, in una delle sue diverse interpretazioni. I piani di percezione dell’oggetto vengono scomposti. Divengono dinamismo coloristico. È l’occhio che guarda ciò che davvero conta. Che fa la differenza. E lo sguardo di Boccioni coglie la frenesia del movimento, la mutazione, ove altri vedrebbero solo stasi. E, quindi, morte .
Ed è qui il senso della mia attrazione per le Nature Morte, opera dei pittori di ogni epoca. Dagli ignoti maestri dì Pompei ai futuristi. E ai realisti magici.
Io non sono un critico d’arte. Non mi interessa la tecnica, lo stile, il tratto… che pure apprezzo.
È il senso riposto che mi attrae.
La capacità di cogliere la Vita, il movimento, il mutare in ciò che, in apparenza, è fermo. Morto. Disanimato.
Il mistero delle cose comuni, banali, che in una particolare luce assumono un valore magico.
E rivelano come tutto, ogni oggetto, in realtà viene dalla Luce. E nella Luce alla fine si dissolve…
Boccioni, Sciltian, Modigliani…. come Caravaggio ed altri prima di loro, avevano questo senso magico, o, più esattamente, esoterico della Vita.
Per questo le loro Nature Morte sono così pregne proprio di Vita… mentre le figure umane dipinte da Hopper sono, a tutti gli effetti, morte. Immagini che riflettono la realtà, triste, solitaria e cadaverica dell’uomo contemporaneo. Quella realtà che vediamo ogni giorno per le vie della città. Affollate. Caotiche. Rumorose. In realtà vere nature morte….