Gennaio è, tra le altre cose, il mese delle nebbie. Non qui a Roma, certo, dove chiamano nebbia una lieve foschia. E dove la nebbia, quella vera, l’ho vista ben di rado in tanti anni. Ma nelle mie terre, nella Valle Padana, nel Veneto, in Friuli , la nebbia, in questa stagione si fa vedere davvero. E ottunde ogni altra percezione. Banchi che ti si parano davanti all’improvviso. Talvolta un unico muro compatto. Che ti circonda da ogni parte. E ti fa sentire solo… Anzi, isolato in una dimensione altra. Sospesa. Come in una delle scene più suggestive dell’Amarcord felliniano…
La nebbia affascina. E incute, anche, paura. Forse perché evoca l’immagine del Limbo. Il luogo di “color che son sospesi” per dirla, ancora una volta, con Dante. Limbo la cui realtà, per quello che mi risulta, oggi la Chiesa, quella Cattolica, nega. D’altro canto tale dimensione non può certo conciliarsi con chi sembra, ormai, credere solo nella vita biologica. E concepisce la medicina come unica salvezza.

Torniamo, però, alla nebbia. Quella vera, non quella che, in questo periodo, sembra offuscare tante menti… Alla nebbia che ricopre la terra, annichilendo ogni percezione e, al contempo, esaltando la capacità di percepire, perché nel grigiore umido e uniforme che ci avvolge, ci è dato, a tratti, di avvertire qualcosa. Presenze. Di cui, ordinariamente, non siamo coscienti. Che ci sfuggono nei giorni limpidi, quando i nostri occhi sono saturi di tante, troppe forme. E troppi colori.
Non per nulla, in tutta l’area della Valle Padana, dalle risaie piemontesi al delta del Po, dalla Bassa Veneto – emiliana sino alle strette valli alpine… ınsomma, in tutta quella che è la nostra Terra delle Nebbie, il nostro Nibelheim se vogliamo, innumerevoli sono le storie, e le leggende, che raccontano di misteriose figure che popolano le brume.
Storie di fantasmi e presenze inquietanti, che vengono da un passato remoto, e che tuttavia sono capaci di assumere sostanza ancor oggi. Divenendo quelle che siamo usi chiamare le moderne leggende metropolitane. Come quella della giovane, e pallida, autostoppista raccolta su una strada in una notte di nebbia. Gli occhi grigi e grandi. Quasi spiritati. Siede sul sedile posteriore, dietro alla coppia cortese che l’ha raccolta. Poi, dopo alcune frasi mozze, si lascia andare a una sorta di profezia di sventura. E la donna della coppia si gira per rimbeccarla. Ma la ragazza è svanita. Dall’auto in corsa. È tornata nella nebbia circostante. È tornata ad essere nebbia.
La sentii raccontare, studente a Trieste, subito dopo il terremoto del Friuli. E la sentii ripetere, poi, varie volte, in altri luoghi e in altri momenti…

Poi vi sono le streghe della nebbia. Sorta di versioni padane delle tre figure che appaiono a Macbeth nella bruma. Non per nulla quelle montagne e quelle piane paludose furono popolate da genti germaniche e, prima ancora celtiche e reto – venetiche… Le cui tradizioni magiche ancora riecheggiano in figure come la Borda, orrida strega che, anche con altri nomi, si aggira nelle notti di nebbia. E che strangola con una corda i bambini troppo ribelli ai comandi dei genitori… Alcuni vi vedono un’eco del celtico Borvo, divinità delle acque fluviali e delle fonti termali. Cui sembra fossero graditi i sacrifici umani per strangolamento…
Ma Borda è anche una maschera di cartapesta. Se vogliamo un mascherone del Carnevale popolare e agricolo. Che mantiene caratteri molto più arcaici rispetto a quello, ben più edulcorato delle città. Dove le Maschere sono per lo più quelle della Commedia dell’arte. E del teatro goldoniano.
Le maschere popolari – ma meglio sarebbe dire tradizionali, chè provengono attraverso una trasmissione da mondi remoti – sono invece deformi, spesso con fattezze animali, talvolta terrifiche.. Rappresentano presenze non umane che si rivelano periodicamente. E che nella lunga stagione fredda, scatenano, fra i ghiacci e le nebbie, le loro sarabande.
Storie. Solo storie, certo. Tenute, a lungo, in vita dai filò. Nelle lunghe e fredde notti di Gennaio, quando ci si riuniva al caldo. Nel tepore delle stalle, spesso. Si beveva vino. E i vecchi raccontavano a fanciulli con gli occhi sgranati ciò che altri vecchi, molti anni prima, avevano raccontato loro…
Non esistono più i filò. E le stalle sono molto diverse. Non se raccontano più storie inquietanti e fantastiche. Si sonnecchia, storditi, davanti alla televisione. Ascoltando ben altre, e molto meno credibili, favole…
Però la nebbia è ancora la fuori. Facciamo finta di nulla. Ma lei è lì. Ci circonda con il suo massivo grigiore. E nella nebbia continuano ad esservi presenze. Streghe. Fantasmi. Demoni dalle fattezze teriomorfe…. Basterebbe uscire dalla porta, per trovarsi in quel mondo. Nella sua inquietante bellezza.
