Ogni tanto, fra le pieghe del web, la domanda affiora. Ma che fine hanno fatto i banchi a rotelle? Affiora e subito, o quasi, dispare. Qualche emoticon indignato, qualche commento sardonico… Ma i più non ne hanno neppure memoria.
Eppure, poco meno di un anno fa, di questi banchi si parlava, e molto. Anche perché i media, più o meno tutti, li decantavano come una grande, geniale innovazione… Come ciò che avrebbe salvato la scuola italiana dalla peste infuriante, e, al contempo operato una vera rivoluzione culturale. Roba da far impallidire il ricordo del Libretto di Mao, delle Guardie Rosse e della Banda dei Quattro….

Se ne è parlato per un bel po’. Vantati come fiori all’occhiello da un Ministro della Pubblica Istruzione oggi, dopo un mesetto dalla sostituzione, ricordato con nostalgia solo da adolescenti afflitti da acne cronica e fruitori assidui di siti internet non propriamente per educande. Se ne è parlato… e se ne è occupato anche il Super Commissario all’emergenza, l’ineffabile Arcuri, che da Londra guidava con pugno di ferro e sguardo d’aquila la lotta al Covid… Oggi anch’egli ridotto a pallida ombra del passato. E oggetto di attenzioni e ricerche, stile “Chi l’ha visto?”, da procure di tutta la nostra Penisola…
Poi è arrivato Settembre. Le scuole bene o male (più male che bene) hanno riaperto e dei banchi a rotelle si sono perse le tracce. Insieme, naturalmente, ai molti milioni distribuiti generosamente ai produttori di tali meraviglie…
Ora, so che il parlare di banchi a rotelle è a rischio di passare per polemica di bassa lega. E, oggi come oggi, sparare sulla Croce Rossa, visto che tutti hanno preso ormai le distanze e irridono alla povera Azzolina. Proprio tutti… anche coloro che prima avevano applaudito alla geniale iniziativa. Sic transit…
Ma io non ho, qui, alcuna intenzione di maramaldeggiare – vecchia abitudine italica che non apprezzo… – Piuttosto i famosi banchi a rotelle mi fanno pensare ad altro…
Mi fanno pensare a Collodi. E al suo capolavoro “Pinocchio”, il libro italiano più conosciuto, e tradotto, nel mondo. Ad un episodio in particolare. Quello di Pinocchio e del suo compare Lucignolo nel Paese dei Balocchi. Mi spiego…

Il romanzo di Carlo Lorenzini – che era scrittore robusto, sospeso fra il fantastico popolare e il gusto tutto toscano per la satira – è tutt’altro che un libro per ragazzi. Certo, come tale, gli fu commissionato dal suo amico Fantasio, lo pseudonimo con cui Ferdinando Martini – giornalista, scrittore e politico – dirigeva il “Giornale dei bambini”. Che era, poi, supplemento “pedagogico” al “Fanfulla”, una di quelle riviste che hanno fatto la storia della cultura italiana tra ‘800 e’ 900. Perché allora di pedagogia ci si interessava davvero. Tant’è che il Martini fu anche Ministro dell’istruzione. In parole povere un predecessore dell’Azzolina. Come De Sanctis, Croce, Gentile, Omodeo…
Tuttavia, il nostro Collodi, di quella storia di burattini, ne fece ben altro… molto più che un racconto per ragazzi.
Un romanzo di formazione, certo. E forse non privo di elementi simbolici. Secondo alcuni addirittura con un retroscena esoterico…
Tuttavia non va mai dimenticato che Lorenzini era un toscano con la satira e l’ironia nel sangue. Che gli veniva dal retaggio remoto dell’Angiolieri, di Guittone d’Arezzo, del Pulci… per tacer di Dante stesso.
E nella storia del burattino ha inserito molti elementi di critica, o se preferite satira, della realtà italiana. Di una mentalità, quella degli italiani, e di un modo di concepire la vita pubblica di cui, al tempo, intravedeva i primi, non confortanti, segni. E di questo ha parlato in molti passi del suo romanzo. In particolare nell’episodio in questione.

Il Paese dei Balocchi. Che, a me, sembra proprio uno specchio della nostra Italia. Non tanto di quella in cui visse il Collodi, che, per quanto confusa e contraddittoria, era cosa assai più seria. Perché più seri erano, in generale, gli uomini. Della nostra Italia, piuttosto. Quasi una preveggenza degli anni in cui stiamo vivendo…
Guardiamoci un po’ intorno. Dei banchi a rotelle ho già detto. Solo mi piace immaginare cosa sarebbe accaduto se fossero stati davvero introdotti nelle aule… E me li vedo, i miei Bori e coatti, infuriare per i lunghi e tetri corridoi del Liceo, in una folle corrida autoscontri…
Poi ci sono i monopattini. Patrocinati e finanziati dai bonus governativi. E i novelli Automedonti che sfrecciano ovunque, strade e marciapiedi, incuranti di regole e divieti… Mentre le imprese languono, i ristoranti falliscono, coloro che perdono il lavoro attendono, invano, la sospirata cassa integrazione. A differenza dei nullafacenti professionisti che si godono il divano grazie al reddito di cittadinanza…
E le mascherine. Di ogni colore, foggia, fantasia. Griffate, tecniche, da brigante e da astronauta, spesso associate a futuristiche visiere, caschi da marziani… Una sorta di Carnevale permanente… Se lo si guarda da fuori, con distacco da anacoreta o monaco buddista…non se ti tocca viverci dentro.
E non parliamo di chi questo paese governa, o finge di farlo. Delle geografie immaginarie di Sottosegretari e Ministri degli Esteri. Degli improvvisati esperti di virus e pandemie che profetano sventure cosmiche nei talk show. Degli economisti creativi che ritengono si possa reggere un sistema in cui pochi lavorano e, i più, si trastullano in casa giocherellando col computer.
Dove i generali inseguono i passanti con la siringa del vaccino. E i Carabinieri braccano con gli elicotteri ragazzini in skateboard o attempati appassionati di jogging su spiagge deserte…

Un paese dove gli insegnanti fingono di insegnare. E gli studenti di studiare, per richiamare la famosa scena con Totò e Peppino…
E dove, però, a fine anno tutti, proprio tutti riceveranno promozioni e diplomi. Tutti, o quasi, trasformati in asini.
Proprio come nella storia di Pinocchio e Lucignolo. Che, però, finiscono alquanto male…