Dopo l’ottima prova narrativa del “L’Irlandese”, uscito nell’ottobre del 2019, Fabrizio Crivellari si ripresenta al suo pubblico, dopo poco più di un anno e mezzo, con “Il Vuoto” (Eclettica Edizioni, pp. 152, 15,00€).
Ma che cos’è “Il Vuoto”? Un romanzo distopico? Sì, certo, ma… La vicenda infatti si svolge in tre momenti: nel 1870, nel 2022 e nel 2023. È un giallo? Sì, anche, ma non solo. Un racconto umoristico, allora? Leggendolo si sorride, a volte si ride pure, ma la storia in sé è molto tragica. Un testo di denuncia, forse? Anche, anche…
Ma insomma, che cos’è questo nuovo romanzo di Fabrizio Crivellari?
Innanzitutto è un libro che esce dagli schemi. E anche solo per questo motivo meriterebbe di avere successo.
Attilio Tomaselli, il protagonista, è un ingegnere che vive nella vecchia casa di famiglia, una cascina nei dintorni di Milano che è stata ristrutturata e trasformata in condominio dopo che la zona è stata inglobata dalla metropoli. Progressista, igienista, aderente a tutti gli stereotipi del politicamente corretto, è però oppresso da un retaggio familiare con cui fatica a fare i conti. Per quanto rifiuti la voce del sangue, magistralmente rappresentato dalla figura della madre, non può fare a meno di subirla.
Non basta darsi delle regole o aderire e accettare in modo acritico le disposizioni governative (a patto che a governare sia la sinistra): l’uomo è un essere complesso che spesso viene travolto dalle sue fragilità. E i motivi possono essere molteplici, primi fra tutti la mancanza di disciplina interiore, il credere che tutto sia solo bianco o nero, la convinzione che tutto giri intorno a noi e che il prossimo si debba adeguare al nostro egocentrismo. Vicino a lui si muove un mondo grigio, informe, nel quale i punti di riferimento tradizionali, la chiesa, i palazzi pubblici, i monumenti storici, sono stati sostituiti dall’ipermercato, dai ristoranti che spacciano cibo spazzatura, dai capannoni industriali che primeggiano per squallore e bruttezza estetica.
Ambienti e personaggi appiattiti e azzerati da un mondo anonimo, e che si adeguano senza la minima ribellione a quella che fu definita la banalità del male, che serpeggia e domina in un opera che lo stesso autore ha definito “la più cattiva della sua produzione”.
Ma un altro punto di forza de “Il Vuoto” è il messaggio che con esso l’autore vuole lanciare. Non sarebbe giusto che noi vi rivelassimo il contenuto di questo messaggio. Infatti siamo convinti che ciascuno debba coglierlo in modo personale. Anche perché non è detto che sia lo stesso per ciascun lettore.
Basti aggiungere che chi, come Crivellari, dichiara a margine della sua opera i suoi numi tutelari ed elenca James Hillman, Emil Cioran, Mircea Eliade, Ernst Jünger e, su tutti, Pierre Drieu La Rochelle, non può che essere seguito, letto ed apprezzato.