Le rivoluzioni, nel mondo, sono sempre guidate dalle élites che utilizzano il popolo come massa di manovra. Un popolo composto dal terzo stato, a volte dal quarto. Ma il copione è il medesimo anche per le semplici rivolte, per le modeste proteste antigovernative. In Italia no. Visto che manca un popolo, sostituito dal gregge belante, la ribellione contro Sua Divinità Mario Draghi deve paradossalmente passare attraverso chi è stato il fautore della nomina del banchiere alla presidenza del consiglio.
Così un folto gruppo di industriali calzaturieri delle Marche ha deciso di ignorare i diktat di Biden fatti propri dai maggiordomi italiani; ha ignorato la disinformazione dei chierici di regime; ha ignorato i piagnistei del Colle; e la delegazione marchigiana è volata a Mosca per partecipare ad una fiera della scarpa. Già, perché i “piccoli sacrifici” pretesi da Sua Divinità significano perdere dal 40 al 70% di fatturato estero: in pratica vuol dire chiudere le aziende e mandare a casa più di 20mila lavoratori. Lasciando campo libero alla concorrenza cinese che non aspetta altro.
Ma che sarà mai la sorte di 20mila famiglie di fronte alla pace nel mondo? Poco o nulla, forse. Ma decisamente troppo per le famiglie che non hanno chiesto l’allargamento della Nato, che non hanno sostenuto l’annientamento della popolazione russofona nel Donbass. E che non hanno neppure mai votato per Draghi.
Così, mentre la sinistra litiga nelle manifestazioni del 25 aprile, mentre la destra tace su tutto nella consapevolezza di perdere consensi ogni volta che apre bocca, un gruppo di industriali dimostra che ci si può ancora ribellare alle idiozie del governo per difendere il diritto al lavoro ed alla sopravvivenza delle famiglie. Una ribellione fatta con garbo, accompagnata dalle parole di rito in solidarietà del popolo ucraino, gestita con Regione e Confindustria. Senza strepiti, con stile, lo stesso stile che caratterizza le scarpe di qualità prodotte nel distretto marchigiano.
E con la speranza che i russi, di fronte ad un paio di calzature belle e comode, dimentichino gli insulti vomitati dai media italiani, l’esclusione dei cantanti, la cacciata dei direttori d’orchestra, la cancellazione di scrittori dell’Ottocento, l’espulsione dei tennisti russi, il furto di ville e yacht. Perché non saranno Sala, Malagò, Gramellini, il rettore della Bicocca e tutti gli altri neo russofobi a pagare lo stipendio agli oltre 20mila lavoratori marchigiani.