Dei delitti e delle pene: e degli equivoci, aggiungo io, che ho cuore sulfureo. Quando Monsù Beccaria diede alle stampe il suo libello, certo non immaginava che razza di casino avrebbe tirato in piedi: allora, indubbiamente, se ne sentiva il bisogno.
Dirò di più: allora la gente leggeva i libri, prima di citarli e, leggendoli, qualche succo ne traeva.
Oggi, mercè la poca e, spesso, millantata lettura e qualche problemino cognitivo in più, rispetto al secolo decimottavo, si pratica la vanvera a spron battuto e anche il Beccaria ne fa le spese. Intendo dire che, dall’umanitaria e benemerita battaglia per il diritto e la civiltà, perfino nelle più acerbe cause giudiziarie, contro l’estorsione di confessioni tramite tortura ed esecuzioni spettacolari, ad uso del popolaccio bramoso di sangue, oggi si è passati al più fetido perdonismo: alla derubricazione assoluta del delitto e, va da sé, al depotenziamento della pena.
L’idea che nessuno tocchi Caino, lo confesso, mi fa ribrezzo: Caino va toccato, eccome. Va preso, processato e sanzionato secundum jus et legem. Semmai, è Abele che non si deve toccare: e per proteggerlo, non vi sono che due vie. Nel mondo meraviglioso del Bianconiglio e del Cappellaio Matto, Abele si difende educando le belve a mangiare margherite, leggendo loro, fin dalla più tenera età, pagine su pagine delle più inzuccherate ed edificanti agiografie a disposizione, finchè, stremati, i lupi non si disartiglino da soli.
Nella realtà fenomenica, invece, se si vuole che Caino se ne stia lì zitto e bravo, senza rompere la testa all’Abele e i corbelli a noialtri tutti, ci vuole la pena: bisogna che sia ben chiaro che, ad ogni birichinata, corrisponde un sanissimo scapaccione. Sarà poco elegante, sarà poco corretto politicamente, ma va così dalla notte dei tempi e sempre così andrà: perché così è fatto l’uomo e non altrimenti.
Faccio un esempio, per spiegare agli electomagici in ascolto come funziona. Prendiamo i parcheggi per disabili: tra tutte le infrazioni al Codice della Strada, il parcheggio in quelle aree di sosta riservate è, a mio parere, il più odioso. Oggi come oggi, te la cavi con una multicina e, se proprio incontri il ghisa tignoso, la rimozione forzata. Il ganassa col Porsche, che ha fretta e si sente diverso e migliore del povero fesso qualsiasi, se ne strafrega del rischio di scucire qualche euro: trova il parcheggio e ci si accula placidamente. Alla peggio, devolverà un briciolo delle sue sostanze alla pubblica amministrazione. Provate a sanzionare l’infrazione con il ritiro della patente per dieci anni, inflessibilmente, inderogabilmente: scommettiamo che il prefato ganassa ci penserebbe le millanta volte, prima di parcheggiare dove non deve?
Ecco, questa è la capacità coercitiva della legge. Si mandino gli omicidi ai lavori forzati, vita natural durante: loro non li recupererai, ma, tanto, c’è poco da recuperare in carcere. Al massimo imparerebbero a scassinare una cassaforte. In compenso, tra gli altri, quelli che ancora non hanno ammazzato nessuno, uno o due un pensierino ce lo faranno, sulla bella prospettiva di spaccare pietre tutta la vita. E sarebbero già uno o due omicidi in meno.
Questa è la funzione esemplare della pena. Che non serve a fare vendetta, come farneticano taluni filocaini, dando per acclarato che la punizione sia uno strumento arcaico e del tutto inutile: serve a fare paura. Sana, sacrosanta, educativissima paura: tu, delinquente in fieri, devi aver paura delle conseguenze del tuo malagire. Una fifa blu. Proprio quello che, oggidì, manca e che fa sorridere i malviventi di mezza Europa, che decidono di venire a gavazzare in Italia. Il bastone ha una sua meravigliosa valenza civilizzatrice. Quanto alla carota, fatene un po’ quel che vi pare.