Stamattina cade un po’ di neve… Oddio, neve…. più che altro quello che si dice nevischio. Sorta di chicchi, non duri come grandine però. E umidi, già pronti a mutare rapidi in pozzanghere. Che però, cadendo sulla terrazza e sulle poltroncine nere di vimini, ti danno una vaga sensazione di candore. Come se fosse davvero neve…
Non ho, però, chiamato mio figlio. Non è neve vera, quella che lui attende, ogni anno, con ansia. E invano. E poi sono da poco passate le tre. Di notte. E credo non sia proprio il caso…
Le tre? Ma che hai l’insonnia? O peggio… Me lo vedo il direttore che ridacchia maligno…
No, niente insonnia. E neppure incubi. Anzi, avevo la sensazione – non un ricordo preciso, solo una sensazione quasi tangibile – di essere stato strappato ad un sogno bellissimo…
Comunque, a svegliarmi è stato…il silenzio. Perché c’era un silenzio profondissimo. Un silenzio tanto assoluto, da diventare assordante. Il silenzio che vi è solo quando nevica. Anche se la neve è poca cosa.

Mi ha svegliato, quel silenzio. Diverso da quello ordinario della città che finge di dormire.. Diverso anche da quello, innaturale e pervaso di paura, dei, lunghi, periodi di lockdown. Ovvero della moderna gabbia in cui ci siamo rinchiusi, e fatti rinchiudere, in questi anni…
Era un silenzio… antico. E, oserei dire, arcano. Perché quello della neve che scende è silenzio che evoca solitudini infinite, boschi oscuri e profondi, monti inesplorati. È, forse, il silenzio che veniva spezzato solo dal rullare del tamburo di uno sciamano. E dal suo canto gutturale. Il grande silenzio di quella che chiamiamo sempre, e sempre ottusamente, preistoria. E che è quella immensità di cui ci è impossibile contare anni e secoli. Una immensità di storie, di vite, genti e culture che abbiamo, più che dimenticato, volutamente consegnato all’oblio. Perché ci spaventa. O, per dirla con Leopardi, il cuore ci spaura.
Preferiamo abbarbicarci a certezze effimere. La mezza luna fertile. I Sumeri. Le Piramidi… In qualche modo tranquillizzante, la nostra Storia. Come tutte le fiabe che si raccontano ai bambini. Per accompagnarli nel sonno…

Ma quando scende la neve, qualcosa in noi ricorda. O meglio, rimembra, per tirare ancora in ballo il conte Giacomo. E la remembranza è un ricordo fisico. Della carne, del sangue. Delle ossa. Qualcosa che, per quanti sforzi facciamo, non riusciremo mai a cancellare. Quel silenzio è lo stesso che accompagnava la vita dei nostri remoti progenitori. È il silenzio della Natura, spietata. In cui gli uomini lottano per sopravvivere. E attraverso il quale parlano gli Spiriti…
Mi scuoto. Sulla terrazza fa freddo. Ed è decisamente meglio che rientri. Se mi dovessi prendere una infreddata, mettermi a starnutire per strada o a scuola…Dio ce ne scampi! Rischi la lapidazione. E gli arresti domiciliari. Meglio spacciare droga davanti alle elementari. È socialmente ben più accetto…
E poi, il nevischio sta già mutando in una pioggia diaccia e sottile.
Mi faccio il caffè e mi accendo la prima pipa. Il sonno, ormai, è svanito…