In Nicaragua, il 30 maggio, si è celebrata la “Festa della mamma”, una data insolita, ma è una ricorrenza iniziata nel 1940 ed è molto sentita dall’intera comunità nazionale.
Quest’anno la festa era vestita a lutto, a causa della violenta repressione polizesca iniziata il 18 aprile, con proteste a Managua e nelle principali città del paese, contro il regime autocratico e dispotico del sandinista Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Murillo, e che non sembrano aver fine, nonostante le decine di morti e centinaia di feriti, certificati da una missione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) dell’Organizzazione degli Stati americani, (OEA/OAS).
Un comitato spontaneo di madri delle vittime, “le Madri di Aprile“, aveva annunciato che avrebbero marciato per le strade di Managua in memoria dei loro figli e chiedendo giustizia. In poche ore si unirono organizzazioni della società civile, camere di imprenditori, università, movimenti contadini e sociali, famiglie di tutte le classi sociali.
Il governo cercò immediatamente di organizzare una contro-dimostrazione sandinista, lo stesso giorno ed alla stessa ora, ai piedi del monumento al suo riferimento politico, il defunto Hugo Chavez, lanciando proclami violenti attraverso i mezzi di comunicazione che controlla quasi del tutto.
La mattina del 30 è stata presentata una nota serena, con un documento firmato dal governo dalla CIDH e dal Segretariato generale dell’Organizzazione degli Stati americani (OEA/OAS) in cui Ortega accettava che esperti internazionali in materia di diritti umani “con garanzie di autonomia e indipendenza ” indagassero sugli atti di violenza registrati in Nicaragua.
Era un punto fisso nei colloqui del tavolo di dialogo presieduto dalla Conferenza episcopale. Dopo tanta tensione, sembrava finalmente una buona notizia.
Alle tre del pomeriggio, una marea umana si mobilizzó in Managua e più di 600.000 persone di tutte le età hanno accompagnato le “Madri di Aprile” in una manifestazione pacifica, chiedendo la cessazione della repressione violenta e giustizia per le vittime.
Nel frattempo, al concerto del governo, nonostante si fosse mobilitato l’intero apparato statale, arrivarono non piú di 15.000 persone ad ascoltare Daniel Ortega, che appariva nervoso, minaccioso e irritato nel suo discorso.
E le sue minacce si sono tradotte in fatti.
Durante il suo discorso, cecchini, polizia e gruppi armati, di civili legati al governo sandinista, hanno attaccato e sparato alla folla disarmata e pacifica e c’è stato un autentico massacro.
In questo momento ci sono 8 morti in questo primo scontro, dozzine e decine di feriti da proiettili di armi da guerra: anche un bambino di 10 mesi è ricoverato in ospedale in una situazione grave e un ragazzo di 15 anni è stato ucciso mentre camminava vicino a sua madre.
Fino a tarda notte, i paramilitari sandinisti e la polizia hanno pattugliato Managua e altre città del paese, sparando a qualsiasi ombra che si spostasse. Stamane si contano 14 morti.
Il 31 maggio, i vescovi del Nicaragua, con una breve dichiarazione in cui interrompono il dialogo tra la società civile e il governo sandinista, non si sono limitati a “lamentarsi” genericamente degli “eventi violenti“, ma piuttosto hanno enfatizzato e condannato “vigorosamente e in modo assoluto” questa “violenza organizzata e sistematica” contro il popolo.
Nel frattempo il mondo osserva e nessuno sembra avere una soluzione.